Avere la fortuna di poter assistere ad un concerto con nomi importanti provenienti da altre parti d’Italia o, addirittura dall’estero, è certamente un’esperienza indelebile, sia dal punto di vista culturale che da quello umano. Eppure trovo che parimenti sia un’emozione senza paragoni e un profondo piacere partecipare all’esibizione di ragazzi che vivono nel quotidiano la tua terra e che, a volte, capita di incrociare per strada.

Venerdì 27 novembre i primi a scaldare l’atmosfera dal palco dell’OFF sono gli AWA, eclettica band formata nel 2011 con un convincente album di debutto all’attivo e attualmente impegnata a registrare il secondo. Anche se a ranghi ridotti per la mancanza di due componenti (sax e synth), gli AWA accettano la sfida e propongono alcuni pezzi del loro repertorio che spazia dal metal al prog passando per sonorità jazz e post-rock.

Sin dal principio i suoni sono caldi e ben equilibrati nonostante l’ingente potenza in uscita. I membri si muovono sul palco con una notevole intesa, compatti, e a livello sonoro il risultato è un oscuro e affascinante frattale che colpisce e rimane impresso al di là del tecnicismo. Man mano che il concerto prosegue, pezzo dopo pezzo, le impressioni iniziali si consolidano e alla fine il più grosso rimpianto è quello di non aver assistito all’esibizione della formazione completa. In un gruppo simile la presenza di un sax e di un sintetizzatore sono in grado di aggiungere una qualità e una profondità di colore non indifferente…peccato, sarà per la prossima!

Ho letto alcune cose su di loro e, tra i tanti, qualcuno li ha catalogati “avant-garde”. Personalmente li ho sentiti suonare diverse volte e ritengo che questa definizione possa essere un piccolo aiuto ma pur sempre troppo riduttivo per provare a definire un progetto che tenta di fondere le molteplici influenze dei propri membri rielaborando e battendo sentieri così impegnativi e per niente scontati.

Dopo la buona prova degli “asettici” tocca ai Cabrera, gruppo math/post-rock fondato nel 2013. Da allora hanno registrato un EP chiamato “nessun rimorso” e i due full-lenght “Da qui si vede tutto” e “una montagna in casa”, rispettivamente nel 2015 e nel 2017. Ammetto di non aver ascoltato nulla di questi ragazzi prima d’ora, quindi mi sono preparato lo stretto indispensabile per evitare di guardarmi intorno con aria spaesata…

Sentendo dal vivo qualche brano dell’ultimo disco, ciò che appare subito evidente è l’evoluzione compiuta nel corso dei 3 album. Ci sono ancora elementi ricorrenti e caratteristici, come la furia sanguigna delle esplosioni di voci e chitarre, o il song-writing al limite del cantautoriale e a tratti show-gaze. Eppure, rispetto al filone Emo in cui si inserivano nei primi due lavori, quest’ultimo ha qualcosa di così personale e dannatamente emozionale da portarli ad avere quasi una loro propria impronta. Sul palco, durante i vari momenti del concerto, c’è sempre un costante affiatamento e i ragazzi sono in grado di trasmettere appieno il disagio e la difficoltà nell’affrontare il quotidiano che trasuda dai loro testi.

Per molti versi, ascoltando i Cabrera, si avverte ancora il richiamo ad altri (tra cui Gazebo Penguins e Fine Before You Came tra i tanti) ma, allo stesso tempo, è evidente la ricerca di una propria dimensione e di una propria identità.

 

Non posso che concludere facendo un grosso in bocca al lupo ai ragazzi di entrambe le band, poiché il sentiero che hanno intrapreso è tutt’altro che banale o di tendenza e che, seppure difficile ed impegnativo, possa portarli lontano sia musicalmente che professionalmente.