Profughi, rifugiati, richiedenti asilo, migranti economici. Ma anche Sprar, Cas, Hub di prima e seconda accoglienza. E’ il lessico  che accompagna sui media la fuga di massa verso il nostro continente dai paesi in guerra o in estrema povertà. Una enorme sfida etica e sociale per l’Europa, che nel 2015 si è vista arrivare dal mare o passando dai Balcani 1,3 milioni di profughi.
Un fenomeno migratorio diverso da prima e fatto soprattutto di viaggi disperati di chi scappa dalle bombe nel suo paese. Per poi arrivare in un’Europa già spossata dalla crisi economica, lacerata dalle divisioni e dove monta la rabbia dei movimenti xenofobi e populisti.
I profughi, oltre a dramma umanitario, sono ormai una gigantesca questione politica su cui si gioca la tenuta interna dei governi nazionali nonché la governabilità e il futuro dell’Unione Europea: una questione cruciale – quella dell’immigrazione – che tocca sia i dibattiti sulle stragi di Bruxelles e di Parigi sia la concreta convivenza di interi quartieri, scuole e città.
E’ un fenomeno epocale, anche se non nei numeri. Oggi in Italia sono 5 milioni i residenti extracomunitari (l’8,2 %), con un trend di ingressi da fuori Europa che è in diminuzione dal 2011 e da allora si è più che dimezzato. Se nel 2010 sono entrate in Italia circa 600 mila persone extracomunitarie, nel 2014 ne sono arrivate meno di 250 mila. E se da una parte sono aumentati gli sbarchi e le richieste di asilo e di protezione internazionale (153 mila nel 2015), dall’altra sono drasticamente diminuiti gli ingressi per lavoro (circa -50 %) e non a caso, in Italia, nascono molti meno bambini stranieri oggi di 5 anni fa.

I numeri e la governance
La gestione dei profughi da noi è di competenza del Ministero dell’Interno. Dagli sbarchi i profughi vengono trasferiti quasi sempre in 4 grandi centri nazionali (hotspot) per l’identificazione. Poi arrivano nelle Regioni, sulla base di quote decise a livello nazionale: all’Emilia Romagna spetta il 6% dei richiedenti asilo.
Dagli Hotspot quindi i migranti arrivano prima a Bologna, dove si fermano un mese in un centro per la prima accoglienza (Hub). Di seguito vengono ‘distribuiti’ nei comuni, all’interno dei Cas (Centri di accoglienza straordinaria, che alla fine sono spesso ‘normali’ appartamenti) o, in numero minore, nello Spar (programma nazionale per la protezione dei rifugiati). Infine, dopo in media 12 mesi, escono. Sono circa 9000 le persone che negli ultimi 2 anni hanno fatto questo percorso finendo nei comuni emiliani. Compresa Modena, dove nei Cas attualmente ci sono circa 800 migranti.

Dai numeri alle storie
A quel punto spesso i numeri ‘diventano facce’ e le incontri per strada o nel tuo quartiere. Così da un lessico tecnico si passa alle storie. Come quella di Rahbar e Koband, curdi, fuggiti dalla guerra poco più che ventenni e arrivati dal Nord dell’Iraq a Modena dopo viaggi allucinanti. Pochi anni fa profughi, oggi sono cameriere e cuoco presso ‘La cucina del museo’, vicino al Museo Enzo Ferrari.

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Rahabar, laureato in economa, è nato e cresciuto in una famiglia abbiente ed è arrivato a Modena nel 2007, mentre Koband è a Modena da quasi 10 anni. Raccontano di essere stati adolescenti in guerra. Da ragazzi, hanno visto uccidere o sono scampati di un pelo a una bomba, con le orecchie che hanno fischiato una settimana.
‘Noi volevamo solo stare in pace, senza la paura costante che ci succedesse qualcosa’ – dice Koband, che per arrivare in Italia ha viaggiato 5 mesi. Prima in macchina e poi in camion, stipato e nascosto con altri come lui per 55 ore. Ci tengono ad elencare tutte le guerre che hanno visto; Iran, guerra del Golfo, Turchia, poi l’arrivo degli Usa nel 2003. ‘Ad un certo punto abbiamo deciso di andare via, a vivere in guerra arrivi che a 17 anni è come se ne avessi 40’.
Poi l’arrivo a Modena, non senza difficoltà, ma anche con gli aiuti umani ed economici delle loro famiglie da casa e di chi li ha accolti. Oggi lavorano, si sono ambientati e a Modena hanno costruito la loro vita. Hanno qui gli amici, Rahbar ha messo su famiglia. Certo, certe cose non le capiscono, come lo scarso rispetto degli italiani per le forze dell’ordine. ‘Qui ognuno interpreta le regole a suo modo’. A entrambi un giorno piacerebbe ritornare a casa, ‘ma c’è la guerra’. E di quella ne hanno avuta abbastanza.