Vino allo stato primordiale.
Contenitore di emozioni e storie che nascono dal connubio di terra, persone e passione.
Parlare, discutere, relazionarsi.

Anche questo è “fare cultura”. Davanti ad un buon bicchiere di vino poi, risulta oltremodo semplice, perché il vino diventa un incontro: con il prodotto, con il suo produttore e con l’idea che li anima.

Lo abbiamo fatto, come promesso, in occasione di Vino Crudo 2018, festival-mercato del vino biologico, biodinamico e naturale, che si è svolto lo scorso 5 Maggio all’interno del complesso San Paolo di Modena. Uno scenario affascinante, che dopo lunghi lavori di restauro ha restituito a Modena un maestoso Leccio secolare, iscritto alla lista degli alberi monumentali della città.

Tra i banchi, intorno ai portici del cortile, ecco i veri protagonisti! 50 realtà nazionali di vignaioli, uomini e donne che hanno scelto del fare vino la propria forma artistica, mani che si sono adoperate, occhi appassionati, smaniosi di raccontare la loro fatica, la filosofia che c’è dietro il loro lavoro, di rivelare e condividere il loro vino. E nel bicchiere, che diventa veicolo di emozioni, assapori tutto questo non solo con i sensi ma lo percepisci chiaramente con la mente e con il cuore.

Non a caso il logo dell’evento, ideato con grande estro da Davide Montorsi in arte Medulla, è proprio un cuore. Qui è rappresentato nella sua forma più primordiale e veritiera, quella anatomica, mentre si intreccia indissolubilmente al viticcio.

medulla

 

Viticcio per noi è il dettaglio che molti non vedono, frutto del prodigio della natura e dell’ingegno dell’uomo, che unisce la vite ai filari, la fa crescere e le permette di ergersi e ricercare la luce.
ASS. Il Viticcio

Tra i produttori c’è chi, oltre al vino e alla filosofia, di un mestiere fatto di grande dedizione e attaccamento, porta con sé una lotta, tanto ardua quanto necessaria: quella della salvaguardia del territorio.

GRANJA FARM_!

È il caso di Luca, Granja Farm, che 5 anni fa durante una manifestazione No Tav ha riscoperto e “adottato” insieme ad amici alcuni terreni anticamente coltivati a vigneto, silenziosi testimoni abbandonati di guerriglie e manifestazioni contro il progetto della linea ferroviaria Torino – Lione. Il suo è un territorio impervio, che richiede grande fatica fisica. Produce un vino “di montagna” e le sue parole sono piene di sentimento:

 La nostra è una produzione di qualità e a misura d’uomo, ed è il primo anno che riusciamo a imbottigliare. Ogni giorno devo fare i conti con i blocchi della polizia, consegnare i miei documenti alle guardie preposte al controllo del cantiere, perché anche questi terreni sono tristemente recintati. Ma sono tutti in comodato d’uso gratuito, e noi li coltiviamo per difenderli, per non disperdere le forze, e perché i frutti diventino uno stimolo alla lotta per non perderli per sempre.

 

C’è anche chi arriva da più lontano, come Rory, da Catania. L’etichetta del suo vino è un quadro dipinto dalla moglie Cinzia, che racconta la sua terra con tre colori: il bianco, che rappresenta la neve che di tanto in tanto si poggia delicata sull’Etna; il rosso, la lava che fuoriesce testarda e incandescente del cratere; infine, il nero della terra. Una terra piena di contrasti e anche Rory, come altri, ha le mani consumate, perché in quella terra, impressa da sua moglie sulla tela, le mani ce le mette spesso.

Se guardate bene l’etichetta si può intravedere anche il profilo di una donna. La montagna è donna. La terra è donna. E dalla donna prende vita ogni cosa.
La mia azienda agricola, 8 ettari di terra per una produzione di circa 18000 mila bottiglie l’anno, si chiama
SRC, le iniziali mie e della mia famiglia. Se ripetete velocemente con un po’ di fantasia sentirete risuonare la parola Esserci. Amare la terra, lavorare con passione e fatica ogni giorno, coglierne i frutti migliori. Per fare questo bisogna innanzi tutto esserci.”

 

Ci ripariamo sotto i portici da qualche goccia di pioggia che inesorabile bagna il cortile come nella prima edizione e conosciamo Matteo, Fattoria San Vito. Accento toscano, la fattoria infatti si trova a Calci in provincia di Pisa, sorriso contagioso, ex libraio. Dal 2011 cura la vigna e l’oliveta di famiglia da 3 generazioni. Versa un calice dalla sua bottiglia da un litro e mezzo del vino che lui stesso definisce “da bevuta in compagnia” e racconta:

Avevo una libreria in città e la crisi economica mi ha portato a riflettere sulla mia professione e sul mio futuro. Le proprietà della mia famiglia stavano perdendo il supporto dei contadini di cui i figli non volevano seguire le orme e così ho colto questa opportunità. Ho incominciato leggendo i manuali, cercando di capire “come si fa”, insieme a mio padre che stava in ufficio durante la settimana e al weekend si dedicava insieme a me alla terra; per andare oltre alle parole lette, per viverci di quella terra. Questo mestiere è una prigione che ho costruito con le mie stesse mani, ma è una prigione dorata, ora non farei altro.

 

Il viaggio continua, senza tappe prestabilite, trasportati dal chiacchiericcio dei visitatori che si fanno sempre più numerosi, complice anche la gentil pioggia che smette di cadere.

C’è un vaso pieno di terra poggiato sul banco affianco alle bottiglie e la prima cosa che fa Paolo, viticoltore faentino, è farlo toccare a tutti raccontando nel dettaglio di cosa è fatta quella meravigliosa terra sulla quale coltiva con passione, dove si generano i complessi rapporti tra suolo, clima, animali e uomo, che determinano il sapore dell’uva e il gusto del vino.

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Ci sono singolari figuri che accompagnano le bevute con versi di poesie.

Mi ritengo un artigiano poeta del vino, il vino è la poesia della terra. Non ci sono grandi vini, ma grandi bottiglie.

Cosi si definisce Giorgio Erioli, dell’omonima cantina, viticoltore appassionato ed estroso che da anni sta cercando di salvaguardare antichi vitigni, che hanno vissuto per decenni sulle colline bolognesi ed ora stanno per scomparire.

Queste persone, e tutte quelle di cui non si racconta in questo articolo ma che hanno animato questa edizione di Vino Crudo 2018, sono l’espressione autentica e peculiare del territorio in cui vivono e al quale si dedicano con umiltà, fatica e una buona dose di coraggio ogni giorno. Sono degni ambasciatori di un prodotto, il vino biologico, biodinamico e naturale, frutto di studio e pazienza, di grandissima artigianalità.

Utilizzano metodi e tecniche tipiche, onorando i tempi della natura e producendo con il minor impatto ambientale possibile. Sono portatori sani di cultura, rispetto e genuinità.

Forse a qualcuno verrà voglia di sostenere l’associazione culturale Il Viticcio che se ne fa promotrice e, perché no, che in qualcun altro nascerà il desiderio di visitarli direttamente questi straordinari vignaioli. In ognuno dei due casi, saremo partigiani di un approccio responsabile nei confronti della terra che ci ospita, a difesa di uno sviluppo sostenibile che protegga i bisogni delle generazioni presenti senza pregiudicare le opportunità di quelle future.