Noi di MoCu abbiamo messo gli occhi su un progetto realizzato recentemente presso l’Ostello San Filippo Neri che riteniamo molto interessante da un punto di vista artistico e umano. Per rendervi partecipi di questo lavoro ho pensato di raccogliere qualche contributo direttamente da coloro che hanno avuto l’idea e che, successivamente, l’hanno realizzata. Iniziamo dal direttore della struttura, Francesco Campaniello.

Ciao Francesco, come è nata l’idea alla base del progetto?
L’idea dei lavori è nata dalla volontà di abbellire le pareti dell’Ostello unita all’esigenza di mantenerne la freschezza di ambiente e spirito; è un percorso che nasce da lontano, infatti, già nel 2015, in una lunga giornata di arte, amici e musica, alcuni artisti decorarono il nostro cavedio riproducendo dettagli delle metope del Duomo. L’ambiente divenne subito più accogliente e noi, che siamo una struttura ricettiva, uno spazio di passaggio che ospita giovani backpackers insieme a persone più adulte in cerca di casa e lavoro in città, vogliamo che tutti si sentano accolti. Per questi motivi Modena, le sue eccellenze, tradizioni e leggende sono state il fulcro attorno al quale abbiamo deciso di sviluppare l’idea di “decoro istoriato” che ora speriamo avvolga anche i pochi muri dell’Ostello rimasti bianchi.

Cosa ci puoi dire dei soggetti rappresentati sui muri?
Le opere che abbiamo scelto insieme a ciascun artista, sono pezzi di Modena. Che siano leggende, eccellenze o tratti caratteristici, rappresentano una parte per noi significativa della città o della nostra provincia. Avevamo già scorci del centro storico visto dalle caratteristiche altane, parti del Duomo e della Ghirlandina, meraviglie tipiche come il tortellino fino a cenni storici come, ad esempio, brani de “La Secchia rapita”; l’ambiente della tromba delle scale e quello del nostro bar interno, invece, l’abbiamo voluto dedicare alle leggende del territorio.

Per concludere, prima di lasciare spazio agli artisti, c’è qualcosa che ti è rimasto in particolare dell’esperienza che vuoi condividere con noi?
Fare in modo che tante anime artistiche diverse riescano a coesistere e collaborare in un ridotto arco di tempo, in uno spazio animato e vivo come l’ostello per giunta, non è sempre facile ed immediato ma ogni volta che decido di aprire le porte della struttura a chi accetta di collaborare con noi mi stupisco di come i progetti trovino sempre la via per dare forma a qualcosa di ancora più bello ed inaspettato rispetto a quanto deciso in partenza.

 

A questo punto ho proseguito chiedendo ad ogni artista un contributo personale riguardo il proprio lavoro e l’opera realizzata nell’ambito di questo progetto.

 

La ninfa del Lago

Opera realizzata da Giacomo “Jah” Bettega

La ninfa del Lago – Giacomo Jah Bettega. Fotografia di Mazz Elia

Chi sei e di cosa ti occupi?
Sono Giacomo “Jah” Bettega, illustratore e decoratore.

Quale leggenda hai scelto?
Oltre ad avere avuto l’idea di questa collaborazione e il coordinamento del progetto, la leggenda che ho interpretato è quella del Lago della Ninfa. Questa bellissima fanciulla dagli occhi verdi ammaliava gli sventurati che si avvicinavano troppo al lago, li attirava fino al centro attraverso un ponte di cristallo e, un momento prima di farsi raggiungere da essi, distruggeva il ponte, lasciando cadere le vittime tra i flutti delle acque.

In che modo ti sei approcciato alla rappresentazione?
Tramite la pop art, che è il mio stile preferito ed è quello che solitamente utilizzo; ho voluto raccontare la storia attraverso lo sguardo della ninfa, in diversi fotogrammi. In particolare, mi sono concentrato su tre precisi istanti che ritengo emblematici: il primo ed il secondo ritraggono, rispettivamente, i momenti in cui la fanciulla ammalia gli sventurati di turno e li attira verso sé stessa sopra il ponte al centro del lago. Il terzo, invece, è il più significativo poiché la ninfa, sgomenta, si è appena resa conto di ricambiare l’amore dell’ultima vittima che ormai sta affondando nelle profondità del lago.

 

La cascata del Bucamante

Opera realizzata da Alessio “Bolo” Bolognesi

La cascata del Bucamante – Alessio Bolo Bolognesi – Fotografia di Mazz Elia

Chi sei e di cosa ti occupi?
Sono Alessio “Bolo” Bolognesi, street artist appartenente al collettivo Vida Krei.

Quale leggenda hai scelto?
Ho scelto la leggenda del Bucamante da cui prende nome la cascata nei pressi di Serramazzoni. La storia narra dell’amore tra Odina, ragazza nobile, e Titiro, un pastore che conobbe durante una delle sue passeggiate. La famiglia di Odina osteggiò la loro relazione al punto da imprigionarla affinché non rivedesse più il suo innamorato ma, ciononostante, ella riuscì ad evadere per ritrovarsi con lui e fuggire. Purtroppo, furono inseguiti e, rendendosi conto che non li avrebbero mai lasciati insieme, decisero morire, abbracciati, lanciandosi nella cascata.

In che modo ti sei approcciato alla rappresentazione?
Fin dall’inizio ho pensato di riproporre il momento in cui i due amanti si cercano, provando a fuggire dall’oppressione delle famiglie che non approvavano la loro relazione.  Dal punto di vista artistico, inizialmente avrei voluto utilizzare un approccio diverso, più pittorico e meno illustrativo, ma durante la realizzazione sono incappato in alcuni problemi tecnici; la posizione delle figure è uno di questi, in quanto non era comoda da riprodurre. Inoltre, a livello visivo, non riuscivo mai ad avere un quadro completo e per questi motivi, in corso d’opera, il lavoro è mutato in un ritorno alle origini in cui il tratto ha avuto la meglio.

 

Le fate del castello di Levizzano

Opera realizzata da Sharko

Le fate del castello di Levizzano – Sharko – Fotografia di Mazz Elia

Chi sei e di cosa ti occupi?
Sono Sharko, tatuatore e writer.

Quale leggenda hai scelto?
Ho scelto la leggenda delle fate di Levizzano; si narra che, durante le notti di luna piena, queste leggiadre figure femminili, vestite di bianco, iniziassero a popolare la fortezza danzando sulle mura e sugli spalti del castello, fino all’alba. La credenza popolare era così radicata che, per secoli, la gente era convinta del fatto che fossero le fate stesse ad essere le proprietarie della magione.

In che modo ti sei approcciato alla rappresentazione?
Per realizzare il mio lavoro mi sono ispirato ad un genere di tatuaggi chiamato “neo traditional” una rivisitazione del tatuaggio tradizionale che ne valorizza maggiormente il volume. In questo stile i soggetti sono ripresi dal “traditional” e riproposti in pose più dinamiche, magari di scorcio. Solitamente la rappresentazione della fata nell’immaginario collettivo è una figura femminile, con un corpo slanciato e ali da farfalla. Diversamente da ciò, io ho voluto raffigurarla dando il massimo risalto al volto, quindi il risultato è un viso di donna come parte centrale dell’immagine mentre le ali della fata diventano la cornice che lo contorna.

 

Lo Psillo

Opera realizzata da Carlo Bascelli

Lo Psillo – Carlo Bascelli – Fotografia di Mazz Elia

Chi sei e di cosa ti occupi?
Carlo Bascelli, insegnante di storia dell’arte e impegnato in vari progetti di riqualificazione scolastica attraverso interventi di decorazione murale.

Quale leggenda hai scelto?
La leggenda di cui mi sono occupato è tratta dal famoso testo medievale del “Liber Monstrorum de diversis generibus” ed è rappresentata come metopa nella decorazione del Duomo di Modena nella leggenda dello “Psillo”. Essa narra di un adolescente che gioca con un cucciolo di drago-serpente, fino a diventare immune al veleno dell’animale. Ho scelto questo tema perché mi hanno sempre interessato i rapporti fra esseri umani e non-umani.

In che modo ti sei approcciato alla rappresentazione?
Quando dipingo mi ispiro al mondo visionario dei bambini, che rappresento a volte in compagnia di elementi naturali o esseri sovrumani. Mi piace l’idea che l’opera pittorica sia qualcosa che prenda vita da sé e abbia un processo di creazione il più possibile svincolato dal pensiero.

 

La Fòla del Magalas

Opera realizzata da Elia “Mazz” Mazzotti Gentili

La fòla dal Magalas – Mazz Elia – Fotografia di Mazz Elia

Chi sei e di cosa ti occupi?
Mi chiamo Elia “Mazz” Mazzotti Gentili. Nella vita sono un graphic designer e Art Director freelance (e collaboro con MoCu da un po’ XD). Da qualche anno porto avanti il discorso della calligrafia sia su supporti cartacei che su pareti, utilizzando materiali diversi ogni volta, a seconda delle situazioni, del tempo e delle esigenze.

Quale leggenda hai scelto?
Ho scelto la favola del Magalasso, un’antica leggenda nata in quel di Spilamberto e resa nota dai Modena City Ramblers che l’hanno musicata nella versione dialettale “la fòla dal Magalas”, ovvero un serpente mostruoso, lungo dai 6 agli 8 metri, che durante l’inverno va in letargo nella ghiaia e con la primavera si risveglia attaccando chi gli capita a tiro senza fare alcuna distinzione di età o ceto sociale.

In che modo ti sei approcciato alla rappresentazione?
Ho riportato varie parti del testo all’interno di tre mandala calligrafici, giocando tra il rosso e il nero e, come per tutti perché il muro era così, bianco e giallo. Mentre ero lì a dipingere diverse persone si sono fermate a chiedermi cosa ci fosse scritto così ho iniziato a raccontare e, discutendo della storia, ne è uscita fuori una lettura molto interessante: di fronte alle paure non importa chi tu sia, quanti soldi tu abbia o che lavoro tu svolga; tutti abbiamo paura e l’unico modo per affrontarla è stringersi insieme e combatterla. Insomma, una lettura molto interessante che coi tempi che corrono oggi porta anche un po’ di speranza.

 

La Potta

Opera realizzata da Giulia Tondelli

La Potta – Giulia Tondelli – Fotografia di Mazz Elia

Chi sei e di cosa ti occupi?
Mi chiamo Giulia Tondelli, sono di Modena e ho 35 anni. Sono laureata in Chimica e tecnologie farmaceutiche e sono un’artista autodidatta. Nella vita passo dal lavoro di farmacista a quello di artista e nel mezzo mi occupo di laboratori per le scuole primarie.

Quale leggenda hai scelto?
All’ostello ho scelto di reinterpretare La Potta, che fa parte delle raffigurazioni delle metope del Duomo. Non vi è alcuna leggenda conosciuta dietro questa figura; da quello che ho letto, cercando un po’ di informazioni, questa, come le altre metope rappresentano creature che secondo le credenze medievali abitavano i confini della terra; secondo altri erano poste a protezione del Duomo.

In che modo ti sei approcciata alla rappresentazione?
Ho scelto questa figura che rappresenta un ermafrodita perché mi interessa e mi affascina la ricerca sugli opposti, su tutto ciò che è doppio, in contrasto, sulla parte femminile e maschile che pur essendo così diverse coesistono in ognuno di noi. Opposti che creano un equilibrio tra dimensioni diverse. L’opera è stata realizzata a mano libera con smalti all’acqua.