Ristorante Laghi: storia, natura, umiltà e, soprattutto, senso

Questa storia non inizierà con una certezza, ma con una domanda: cosa potrebbe nascere, secondo voi, dall’unione di un professore di Agraria e uno Chef?
Prima di rispondere dobbiamo fare un passo indietro e arrivare intorno alla fine degli anni ’60, epoca in cui a Modena era in costruzione l’autostrada; per questa grande opera erano necessarie infinite tonnellate di ghiaia che venivano prelevate da una cava a Campogalliano, la stessa che sostenne anche il boom edilizio di quell’epoca. Fortunatamente, in quegli anni vigeva ancora un po’ di buon senso e, una volta terminato lo sfruttamento della cava, lo storico amministratore modenese Liliano Famigli impose la sua decisione di trasformare quell’enorme buco negli attuali laghi, evitando così che Campogalliano diventasse una discarica a cielo aperto, rischio molto alto quando si hanno delle cave dismesse.

Inizia così la gloriosa carriera dei Laghi Curiel, zona dalla natura incontaminata che per tanti diventa anche la spiaggia dei modenesi, non solo per modo di dire. Il primo punto di ristorazione, infatti, risale ai primi anni ’70, periodo in cui il Sig. Otello sfrutta sapientemente il boom vacanziero di Campogalliano servendo gnocco fritto e gelati: è proprio lui il primo ad avere l’idea di portare lì la sabbia, poi seguito a ruota dal Comune che perfeziona il lavoro.

In meno di 20 anni la situazione però cambia: nei laghi viene vietata la balneazione a causa dell’acqua veramente gelida e torbida per via del terreno argilloso, Otello vola in Costa Rica per aprire un vero e proprio ristorante, mentre l’intera zona inizia a diventare terra di nessuno.

Paolo Reggiani

Nel frattempo, un giovane di 27 anni perde il proprio posto di lavoro come professore di Agraria e, anziché piangersi addosso, decide di cambiare vita e dedicarsi alla sua altra grande passione: la Cucina. É il 1988, il ragazzo si chiama Paolo Reggiani e, insieme alla moglie, acquista lo spazio lasciato libero da Otello. La coppia è molto giovane e non ha alcuna esperienza nella cucina professionale; devono imparare a districarsi facendo i conti con le grandi differenze che intercorrono tra una Passione e un Lavoro.

L’idea è quella di partire dal basso con una paninoteca, ma il rischio è troppo alto: tenere aperti fino a tardi in quella zona, con un locale destinato ai giovani, può portare quella struttura a diventare il centro nevralgico delle attività criminali di zona. Abbandonato il primo progetto,  pensano subito ad un ristorantino: avvicinerebbe una clientela differente e non dovrebbe rimanere aperto fino a notte fonda. L’idea risulta vincente e, nell’arco di due anni, la zona viene effettivamente bonificata dallo spaccio.

La cucina però è semplice, quasi dilettantesca, e il ristorante fatica a decollare. Per fortuna, esistono gli amici: un ex gestore e chef li accompagna per una stagione intera, così da permettere a Paolo e sua moglie di apprendere i più importanti rudimenti della cucina professionale. A seguito di questa breve esperienza ripartono con gnocco e crescentine e, dopo molti studi tra ricettari e Storia, si evolvono: la cucina inizia a prendere spunto dal territorio, non solo per gli ingredienti, ma soprattutto per le narrazioni che vivono dietro i piatti.

Paolo è un divoratore di libri e grande esploratore storico; si dedica anima e corpo allo studio delle storie dietro alle ricette, cerca le origini dei piatti non per vana nostalgia ma per riappropriarsi proprio della cucina territoriale. Immaginate:
31 anni di Studi tra Storia e cucina moderna;
una spruzzata gigante di Umiltà;
aggiungete grosse manciate di Antichi Ricettari e qualche chicco di Intuito;
una grattugiata di Buon Senso;
molti spicchi di Rispetto.

Otterrete un pozzo di Cultura storico-alimentare in cui sentirete tutto l’amore di Paolo verso la cucina, riuscendo così a capire come sia riuscito ad unire in maniera incredibile due ruoli che viaggiano su mondi completamente opposti: il professore e lo chef.

Per comprendere ancora meglio a cosa ci si riferisca con il termine “Storia” vi cito due autori che sono alla base delle ricerche di Paolo: Giacomo Castelvetro, viaggiatore e scrittore del 1500, e Cristoforo di Messisbugo, cuoco ferrarese anch’esso del periodo cinquecentesco. I due autori citati diventano alcune delle fonti storiche di Paolo che riscopre le cucine di Corte, in questo caso quella Estense, da cui prende spunto e senso per i propri piatti. Il nostro caro Prof-Chef non vuole celebrare nulla di particolare, ma desidera fortemente che il suo piatto abbia effettivamente un senso, termine fondamentale per continuare a cercare e ricercare, inventare e re-inventare.

Proprio nel trattato “Dei fiori, delle radici e delle erbe che cotti o crudi si mangiano in Italia” del Castelvetro, Paolo trova una frase che lo spinge ad una ricerca molto curiosa: “Le verze sono buone se allessate, ma di più se cotte con la salsiccia gialla” e da qui inizia la sua ricerca più famosa. Le centinaia di letture lo portano a scoprire che la Salsiccia Gialla nasceva nelle corti Estensi ferraresi (per quell’epoca possiamo considerarla quasi un’invenzione casalinga) per poi diventare prodotto commercializzato a Modena, dove prendeva il nome ufficiale di Salsiccia Gialla e Fina. Sempre all’ombra della Ghirlandina nacque poi una sorta di congregazione dei Lardaiuoli o Salsicciai che decideva il metodo di accesso al segreto della ricetta.

Questa salsiccia era un prodotto davvero particolare: oltre alla classica carne di maiale speziata con sale e pepe, da sempre conservanti naturali, conteneva anche formaggio piacentino (l’attuale Parmigiano Reggiano), zenzero, zafferano, cannella e chiodi di garofano; questi ingredienti, uniti tra loro con le dovute proporzioni, conferivano alla salsiccia, oltre che un sapore molto intrigante, una colorazione gialla, quasi dorata.

Dopo un po’ di tempo, Paolo conosce Rosalba Caffo Dallari, nota fotografa e ricercatrice gastronomica, che al termine di un corso sulle spezie propone di fare la cena conclusiva proprio al Ristorante Laghi; entrambi però vorrebbero proporre qualcosa di particolare e in linea con l’argomento quindi, incuriositi, optano per il tentativo di recupero della Salsiccia Gialla e Fina. A seguito di molti tentativi trovano una quadra riportando in vita un prodotto perduto.

La Salsiccia recuperata diventa così oggetto di diffusione culturale per i due nuovi amici che, ad ogni occasione valida, ne promuovono la nuova esistenza con l’unico fine di salvaguardare le antiche Memorie.

Un bel giorno, però, Paolo riceve una telefonata da un signore che gli chiede informazioni sulla Salsiccia Gialla e Fina a seguito di una richiesta di codifica da parte di una signora che sosteneva di averla personalmente scoperta; il prodotto non era commercializzato, quindi il nostro Chef collega subito questa domanda a qualche settimana prima, quando un’altra signora, presumibilmente la stessa, gli chiese se poteva avere un pezzo di quell’insaccato color Oro “Perché è così buono che mi piacerebbe molto farlo sentire a mio marito”. Un po’ deluso da questa situazione, ma altrettanto sicuro di voler salvaguardare quella riscoperta, Paolo richiede il brevetto per la Salsiccia Gialla e Fina, ottenendolo, non per fini di lucro ma solo perché desidera che sia divulgato un solo prodotto, adeguato e onesto.

L’amore di Paolo verso la cucina si riversa anche sulle strumentazioni antiche, come quando trova un antico tritacarne che prova subito ad utilizzare, ma con scarsi risultati visto che la polpa risultava troppo spappolata; lui però non si arrende alle apparenze e un giorno pensa “Se provassi a farci passare la pasta fresca?” mettendosi poi subito all’opera fino ad ottenere quella che lui chiama “Mafaldina”, vagamente somigliante a quelle tagliatelle napoletane spizzate sui lati (create all’epoca in onore di Mafalda di Savoia), ma con una consistenza, rugosità e compattezza molto più gustose. Si inventa così una sua pasta, quasi senza volere.

Tutti questi dettagli di ricerca, amore, passione e intuito portano lo Chef Reggiani a dar vita ad una cucina che, vi posso garantire, non ha nulla da invidiare a quelle definite “Stellate”; allo stesso tempo, però, tutti questi piatti sono intrisi di storia, natura, umiltà e, soprattutto, senso.

Con le erbe aromatiche coltivate personalmente, le verdure provenienti dall’orto del ristorante e i più naturali e genuini ingredienti selezionati dal territorio, ecco due piatti che hanno un senso:

CHECCAVOLO

Ispirato dalla frase “Le verze sono buone se allessate, ma di più se cotte con la salsiccia gialla” ecco che Paolo vi proporrà un tortino di verza e salsiccia gialla su crema di cavolo viola e aggiunta di cavolfiore fritto.

DA ÓV E DA LAT (da uova e da latte)

Ispirato al modo di dire del dialetto modenese che identifica una persona a cui piace tutto, o a cui sta bene qualsiasi cosa. Questa frase prende origine dall’antichità quando i mangiatori di aringhe si dividevano in due categorie, che oggi definiremmo gourmet: quelli che preferivano le aringhe maschio, quindi da latte, e quelli che invece preferivano le femmine, quindi da uova. Accanto a queste due categorie c’erano poi quelli che venivano definiti “da òv e da lat” poiché non importava se il pesce fosse femmina o maschio, l’importante era mangiare.
Il piatto è un tortino di cipolla cotta molto lentamente, quasi candita nel suo succo, Saba, aceto balsamico, aringhe e uvetta; il tutto viene servito con la Paneda e un po’ di Savòr.
Proprio in questo piatto viene forse fuori il massimo legame di Paolo con la terra e il territorio, esaltando al massimo i risultati dell’uva attraverso l’aceto balsamico, la Saba (mosto cotto, quindi prima di iniziare il percorso di acetificazione), la Paneda (una speciale e saporita zuppa di pane) e il Savòr (dolce tipico della tradizione contadina composto da marmellata di mosto d’uva, o Saba, e aggiunta di frutta).

Sono piatti che non compaiono nella cucina classica o tradizionale, ma esistono nell’immaginario poiché includono la storia dei piatti modenesi, da quelli contadini a quelli di Corte. Ovviamente, il menù del ristorante non si ferma a questi due piatti e varia anche in base alla stagionalità; io, per esempio, ho assaggiato le meravigliose tagliatelle con la salsiccia gialla e le Mafaldine con un incredibile sugo di fagioli. Come sempre vi suggerisco di non guardare troppo la carta, ma di farvi consigliare dallo Chef, chiedendo un viaggio nella sua cucina.

Ho scritto tanto su questa persona che risponde al nome di Paolo Reggiani, me ne rendo conto, ma pensate che in realtà ho narrato solo una minima parte di ciò che potreste ascoltare da lui. Questo chef, con tutta l’umiltà e la pacatezza che lo caratterizza, è un uomo che meriterebbe un intero volume dedicato e non ha assolutamente nulla da invidiare ad altri cuochi più famosi, nonostante la sua professionalità sia completamente da auto-didatta. Paolo, il Custode delle Memorie modenesi, sarà lieto di accogliervi all’interno di questo Baluardo delle Città Sommerse, che porta il nome di Ristorante Laghiper proporvi la sua Storia e le sue storie, sotto l’abito di una prelibata pietanza.

Ristorante Laghi

Servizi: Ristorazione Pranzo e Cena
Indirizzo: Via Albone – Campogalliano (MO)
Zona: sulla riva dei Laghi Curiel
Chiusura: Mercoledì
Apertura: da Giovedì a Martedì 12.00 – 13.45 e 20.00 – 22.30
Telefono: 059-526988


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