Mai come in questi dieci mesi di lockdown, l’impatto del mondo digitale sulla vita delle persone si è stagliato in tutta la sua potenza davanti ai nostri occhi. Nell’uso delle piattaforme digitali, ormai pervasivo su tutti gli aspetti della nostra vita, si sta delineando un nuovo rapporto tra cittadinanza e democrazia, dove la cultura dei dati – intesi anche come “bene comune” soprattutto se servono a salvare vite umane – diventa centrale per orientare l’impatto sociale dei cambiamenti che stiamo vivendo.

Come vengono gestiti certi dati, come si elaborano, chi ne trae profitto, chi li controlla e per fare cosa. Sono diventati interrogativi frequenti. Così come, chi decide sui social network, cosa è vero, cosa è falso e quali contenuti sono da rimuovere.

Le sfide attuali riguardano sia come estendere ai cittadini una cultura dei dati – appunto centrali nella loro vita – sia come renderli partecipi ai dati stessi, dotandoli di strumenti adeguati a questi tempi incerti. Tempi in cui una delle certezze è che oggi poche grandi aziende, i cosiddetti “gatekeeper” della Silicon Valley, hanno un potere enorme sulle nostre vite.

Che forme di business abbiano prevalso sulla democrazia, è ancora presto per dirlo. Non siamo gli Stati Uniti, né ovviamente la Cina, dove l’autoritarismo politico usa il capitalismo di stato per una sorveglianza di massa. Non a caso è l’Europa per prima a mettere delle regole al web, con il Digital Act presentato a dicembre e che subito Google ha fatto sapere di non gradire. “Se approvato danneggerà l’innovazione” hanno dichiarato.

Quindi è anche tra cittadinanza digitale e democrazia, tra disuguaglianze crescenti e sorveglianza che si giocherà il futuro delle nostre società.

Per questo abbiamo intervistato un imprenditore davvero visionario nel mondo dei dati e del digitale. Fabio Ferrari, fondatore e presidente di Ammagamma, ex Energy way.

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Lo avevamo già incontrato a fine 2016 (a questo link l’articolo completo, ndr): i data-rocker talentuosi che avevano trovato casa nell’ex convento di via Sant’Orsola a Modena, tra mistiche olivettiane e citazioni dei Pink Floyd, erano allora una giovane promessa della data valley emiliana.

A distanza di quattro anni le cose sono molto cambiate: l’ormai ex-start-up non è solo cresciuta, diventando un’impresa a tutti gli effetti, ma ha rivoluzionato la sua identità fino a modificare il proprio nome e trasformare radicalmente la sua governance. Così nasce Ammagamma e in un travaglio artistico dal sapore floydiano i data-rocker di Energy Way diventano team leader di divisioni aziendali.

Ammagamma è infatti oggi una scale-up company che si sta internazionalizzando, una realtà industriale con una struttura manageriale e con tassi di crescita a doppia cifra, tanto da essere nominata da Linkedin tra le imprese italiane più innovative del 2020. Data-scientist, designer, ingegneri e umanisti che solcano quotidianamente i corridoi dell’azienda e che con professionalità e rigore accademico sono saltati nel vuoto della pandemia e della peggiore recessione economica dal dopoguerra.

Ecco così che al “come va?” questa volta, diversamente da quattro anni fa, la risposta si fa attendere. Fabio respira, riflette, si concentra.

Siamo dentro una battaglia sociale e politica prima ancora che economica. Viviamo una grande trasformazione, una mutazione. Per quanto ci riguarda siamo comunque arrivati a una squadra di oltre sessanta ragazzi e adesso stiamo aprendo la nostra sede a Tel Aviv.

Mentre parliamo Fabio sistema gli scatoloni dei corridoi, ma se potesse, attivo com’è, rassetterebbe, e rivoluzionerebbe ogni angolo di quel cortile del convento dove poco più di anno fa aveva presentato il Manifesto sulla razionalità sensibile, forse l’evento centrale nella mutazione da Energy Way ad Ammagamma. Il Manifesto propone una concezione dell’Intelligenza Artificiale fondata sulla dimensione sociale e inclusiva dei dati, che aiuta le persone (senza sostituirle) e viene usata in modo responsabile per comprendere i fenomeni naturali.

 

Come fanno i dati ad avere dimensione sociale?

Noi crediamo nella necessità di sviluppare una cultura ed educazione dei dati, che ne riconosca il valore e l’importanza. Usare i dati in maniera corretta e comprendere come raccoglierli e curarli: per questo abbiamo potenziato la vocazione ‘educational’ dell’azienda, perché i dati non generino asimmetrie di conoscenza.

 

Intendi disuguaglianze?

Sì. Non il dato di per sé ma come viene scelto, selezionato, gestito. Ci sono aspetti e implicazioni etiche. Per questo collaboriamo anche con molte università italiane, dialoghiamo con Unesco e abbiamo scritto un ‘white paper’ sulla didattica dell’intelligenza artificiale che promuove un approccio esperienziale e sensoriale ai Big Data. Una riflessione sui limiti etici e sulla responsabilità a monte di chi programma e utilizza algoritmi e AI. Infine abbiamo appena inaugurato la prima scuola sperimentale di Intelligenza Artificiale in Italia, alla scuola media Mattarella di Modena. È fondamentale partire dai ragazzi, formare, rendere esplicativi i modelli matematici.

 

Explicability, cioè spiegabilità, una delle parole chiave che usa l’Europa per rispondere alla sfida democratica delle Big Tech. Ma come rendere comprensibili ai cittadini algoritmi che orientano e influenzano le nostre vite fino a decidere per noi?

Questa è una grande sfida, perché siamo in mezzo a un cambio di paradigma scientifico. L’approccio deduttivo per come lo conoscevamo è morto. La logica non basta più di fronte a enormi quantità di informazioni. Prendi l’intelligenza artificiale, che va tanto di moda: va smitizzata e destrutturata. È a servizio delle persone, in fondo è algebra e va resa comprensibile ai sensi.

 

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La sede a Modena di Ammagamma

Così nel convento di Ammagamma per trasmettere la cultura dei dati, si punta a renderli più umani. Con quel nome che non è solo un tributo ai Pink Floyd, ma il richiamo a una mistica esperienza sensoriale, l’azienda modenese che elabora algoritmi e fabbrica numeri vuole umanizzare l’intelligenza artificiale attraverso le emozioni ormai appiattite dalla tecnologia.

Ma anche cercare nuove risposte di fronte a una delle domande della nostra epoca: in questo “oceano” di dati, come sta l’umanità?

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