Del Corni professionale di Modena negli anni se ne sono dette e sentite di ogni tipo: una scuola irrequieta e burrascosa, un luogo dove sovvertire ogni regola, frequentato solo da ragazzi senza aspirazione o voglia di studiare.

Vi siete mai chiesti qual è il confine tra la verità e la leggenda? Vi siete mai domandati chi sono davvero i ragazzi che frequentano il Corni professionale? Cosa c’è dietro?

A darci la possibilità di guardarlo con occhi nuovi ci ha pensato Wilma Massucco, regista del film-documentario Facciamo un Film!, che ha aperto il Modena Viaemili@docfest giovedì 8 novembre. Con MoCu abbiamo avuto il piacere di porle alcune domande per mettere a nudo i retroscena di questo interessante progetto. Le risposte, per le quali ringraziamo di cuore Wilma, ripercorrono il lungo percorso di avvicinamento al film e i momenti salienti della produzione, mettendo in risalto una passione per l’insegnamento e un senso di speranza davvero rassicuranti.

Wilma Massucco, regista di Facciamo un Film!

Com’è nata l’idea del film e come è arrivata a Modena, precisamente all’Ipsia Corni?

Sono originaria piemontese, residente a Modena dal 2001, ho lavorato per 15 anni in azienda, poi sono passata a fare la freelance documentarista. Da cinque anni esercito anche la professione di docente e, da tre anni, insegno Tecniche Grafiche presso l’Ipsia Corni, un istituto professionale del quale volevo fortemente entrare a far parte perché considero questa scuola una realtà poliedrica, multiculturale e propositiva, ricca di offerte formative professionalizzanti, e con un corpo docenti molto aperto, competente e collaborativo.

Il docu-film Facciamo un Film! nasce nell’ambito di un progetto P.O.N.(Programma Operativo Nazionale) presentato dall’Ipsia Corni per l’anno scolastico 2017/18, articolato in vari moduli, tra cui il modulo Facciamo un Film!, di cui sono stata la referente mentre tutor d’aula è stato il Prof. Stefano Ragazzi, storico docente dell’Ipsia Corni, che svolge anche la funzione strumentale per il contrasto al disagio e alla dispersione scolastica. Rispondendo alle finalità del programma P.O.N, abbiamo cercato di mettere a punto un progetto che fosse innovativo in termini di metodologia didattica ed educativa, e che mirasse a migliorare la qualità delle relazioni tra i nostri studenti, naturalmente con possibili ricadute anche in termini di rendimento scolastico.

Abbiamo usato lo strumento dell’arte cinematografica come percorso per stimolare gli studenti alla riflessione, per migliorare la conoscenza di sé e dell’altro, e per sviluppare la cosiddetta intelligenza emotiva, che è assolutamente cruciale per vivere bene, per avere successo nella scuola e nel lavoro, e per far funzionare una società.

Una società di gente intelligente da un punto di vista cognitivo e stupida da un punto di vista emotivo è una società che non funziona, è una società piena di conflitti, in cui la gente non riesce a cooperare.

 

L’idea di realizzare un film-documentario che alterna il girato al vissuto e ai suoi retroscena è nata dal principio o è scaturita durante le riprese?

Quando è stato presentato il progetto agli studenti/esse dell’Istituto non avevamo idea di quale sarebbe stata la loro reazione, né del tipo di riprese che avremmo di conseguenza realizzato. Abbiamo però mantenuto un punto fermo: qualunque cosa fosse successa, il tutto doveva essere ripreso con le videocamere; il backstage sarebbe dunque stato la linea guida del film. Nei passi operativi, abbiamo seguito un approccio tipicamente sperimentale, e poi ci siamo messi nella posizione dell’osservatore. Sui muri interni all’Istituto abbiamo affisso una locandina su cui era scritto “Workshop cinematografico – Chi vuole essere il nuovo Brad Pitt o la nuova Jennifer Aniston? Presentare la candidatura entro il …. “, seguita da corrispondente circolare pubblicata dalla dirigenza scolastica.

Nella circolare sostanzialmente si comunicava che gli studenti candidati sarebbero stati attori e co-autori della sceneggiatura e avrebbero dovuto rilasciare una liberatoria per possibile diffusione del film anche all’esterno dell’Istituto; si comunicava inoltre che anche gli studenti sospesi per infrazioni al regolamento d’Istituto avrebbero potuto partecipare al workshop (da effettuarsi in orario extrascolastico), come misura alternativa all’allontanamento scolastico. Questo tipo di comunicazione esplicitava alcuni passaggi chiave. Innanzitutto si rendeva chiaro che il film avrebbe anche potuto essere pubblicato, dunque “si faceva sul serio”.

Veniva rovesciata la didattica classica: chiedendo agli studenti di essere loro ad inventare la storia da raccontare, la scuola si metteva di fatto nella posizione di chi voleva “apprendere”. Veniva proposto un recupero educativo degli studenti sospesi nello stesso ambito nel quale erano state commesse le infrazioni per cui venivano sottoposti a provvedimento disciplinare (in alternativa alla sospensione classica, quella cioè in cui lo studente sospeso viene allontanato da scuola per qualche giorno e/o indirizzato ad attività educative in appositi centri specializzati, che sono però solitamente dislocati in un contesto esterno alla scuola di appartenenza).

Veniva inoltre proposto di inserire in uno stesso gruppo di lavoro studenti appartenenti caratterialmente a due gruppi differenti, da un lato il gruppo degli studenti regolari, studiosi, rispettosi delle regole, dall’altro il gruppo degli studenti che non rispettavano le regole. Si trattava quindi di due tipologie di gruppo che difficilmente interagiscono tra di loro.

 

Qual è stata la reazione degli studenti?

Direi che sono rimasti piacevolmente incuriositi dall’idea, hanno iniziato a fare domande e dopo una ventina di giorni si è avviato il progetto vero e proprio. Il gruppo attori è risultato costituito da: 22 individui (14 maschi, 8 femmine), frequentanti all’interno dell’Istituto indirizzi di studio differenti (grafico, odontotecnico, elettrico, meccanico e termoidraulico), aventi un’età compresa tra 15 e 21 anni, con origine culturale diversificata (Italia, Ucraina, Ghana, Romania, India). Tre di essi partecipavano al Workshop come misura alternativa all’allontanamento scolastico a seguito di infrazioni da loro commesse al regolamento d’Istituto. Dunque un bel mix.

Sicuramente, questo risultato era già per noi un successo, perché indicava la fiducia, l’intraprendenza e il coraggio di chi, pur non avendo specifiche competenze sul tema e nonostante le difficoltà che si sarebbero potute incontrare dal punto di vista emotivo-cognitivo-relazionale, decideva comunque di mettersi in gioco, di “osare”.

 

Come è stato il rapporto con i ragazzi? Quali difficoltà ha incontrato durante le riprese? 

Gli step iniziali non sono stati facilissimi. Gli studenti attori si ritrovavano all’interno di un gruppo costituito da ragazzi/e che manifestavano caratteristiche comportamentali differenti, un differente approccio nei confronti dell’istituzione scolastica (chi segue le regole, chi infrange le regole), si presentavano al workshop con motivazioni differenti (gli uni per candidatura spontanea, gli altri perché sottoposti ad una misura alternativa all’allontanamento scolastico), non avevano formazione specifica né linee guida da seguire nella realizzazione del progetto in questione. Come si osserva dal lungometraggio che ne è seguito, in un primo momento gli studenti/esse appaiono spiazzati e sorpresi dal fatto che venga davvero data loro la guida del progetto, sembrano impreparati a gestire quello che solitamente viene presentato come “un compito da svolgere” piuttosto che come un “compito da creare”.

La condivisione aperta, in brainstorming con videocamere accese, innesca le classiche dinamiche del gruppo, con l’esuberanza di chi ha più facilità ad esporsi rispetto a chi è più timido. Ad un certo momento accade un evento inaspettato, quel turning point che trasforma la finzione in realtà: uno degli attori, davvero con molto coraggio, decide di condividere davanti alla videocamera la propria storia di vita personale, la propria sofferenza in quanto vittima di bullismo negli anni passati. Questa dichiarazione rompe lo schema, e innesca un motore di interazione e di cambiamento in tutti gli altri, che a loro volta iniziano a condividere la loro realtà. Lo schema è cambiato: la fiction si sposta sul piano del reale.

Quali messaggi, se ci sono, ha voluto trasmettere con questo film?

Il film, che approfondisce in modo particolare il tema del bullismo trattato sia dal punto di vista del “bullo” che del bullizzato, penso che si presti ad essere spunto di riflessione sulle prevaricazioni di potere in generale (siano esse in un contesto scolastico oppure in relazioni di coppia o sul lavoro o in qualunque altro campo). Nella nostra esperienza abbiamo compreso che, mettendo a lavorare insieme, per un progetto comune, studenti regolari e studenti meno regolari, si possono rovesciare stereotipi e pregiudizi, il che ha di sicuro contribuito a sviluppare quell’intelligenza emotiva di cui parlavamo all’inizio, e che rappresenta uno dei fattori chiave per riuscire a stare bene nelle relazioni. Non voglio dire che questo sia un messaggio del film, lo considero piuttosto un risultato, su cui sicuramente si possono fare ulteriori approfondimenti.

Che reazioni si aspetta dal pubblico?

Sinceramente dal pubblico non mi aspetto nulla, io continuo a restare nella posizione dell’osservatore, così come abbiamo fatto fino a questo punto del progetto: ora è importante osservare la reazione degli studenti-attori, e degli studenti in generale, visto che il film è stato selezionato al Modena viaemili@docfest 2018.

Il gruppo degli attori ha nel frattempo costruito profili Social (su Instagram, Facebook, Twitter) associati al Film e legati al tema della “prevaricazione” in senso allargato – da cui il nome assegnato al profilo social lupisenzagloria (individuato a seguito di attività di brainstorming all’interno del gruppo WhatsApp). Questi luoghi virtuali offrono uno spazio di confronto, di dialogo, di raccolta di testimonianze, commenti, esempi di good o bad practices aperto a chiunque voglia esprimersi, civilmente, sul tema delle “prevaricazioni di potere” e/o sulla didattica alternativa, inclusiva e partecipativa (con foto, video, link, ecc.). La comunicazione si sposta dal piano reale al piano virtuale. Cerchiamo di fare un uso consapevole degli strumenti social. Il gioco continua.


 

Chiariamoci, questo film non ha certo l’obiettivo di consegnarci un’immagine patinata di una scuola tanto discussa e che più volte ha ricalcato le pagine dei quotidiani locali per fatti di cronaca. Al contrario, alternando parti di recitato a parti di vissuto, ci porta a riflettere su cosa significhi davvero vivere, studiare o lavorare in una scuola al giorno d’oggi. Attraverso interviste alla preside, alla vice-preside, al corpo insegnanti, ai collaboratori scolastici e agli stessi studenti, il film ci trascina a piedi pari per un’ora dentro una realtà fatta, prima di tutto, di persone e storie.

Concentrare gli sforzi politici e sociali nel migliorare la situazione scolastica e il modello educativo è l’unica via per consentire ai giovani d’oggi, qualunque sia la loro estrazione sociale, la loro provenienza o il loro percorso di vita, di vedersi riconosciuto un principio di eguaglianza delle opportunità, per renderli protagonisti della società in cui conviviamo e in grado di affermare la propria libertà in maniera edificante.

Il lavoro che Wilma e i ragazzi dell’Ipsia Corni hanno svolto e di cui questo docu-film è il risultato può e deve servire da esempio per non dimenticare quanto sia importante trattare temi delicati, come ad esempio il bullismo, anche quando si ha a che fare con situazioni e dinamiche complesse, e usare, laddove possibile, la comunicazione in alternativa alla mera punizione.