Copertina: Sandro Bini, Derive Urbane (2010)

Venerdì 11 gennaio nella sede del Teatro dei Venti, in via San Giovanni Bosco 150 a Modena, prende il via la terza edizione di “Lo sguardo degli altri“, rassegna fotografica organizzata dalla fotografa Chiara Ferrin per offrire a colleghi e appassionati un’opportunità di formazione e confronto sui linguaggi della fotografia contemporanea.

Questa edizione si aprirà con la conferenza “ Altro che invisibili. Il paradosso delle immagini sugli immigrati ” tenuta da Vittorio Iervese, docente dell’Università di Modena e Reggio Emilia, che affronterà il tema dell’utilizzo strumentale delle immagini sui social e nella stampa, in particolare relativamente alla questione legata alla stigmatizzazione degli immigrati in Italia.

La rassegna proseguirà con altri due appuntamenti: il 19-20 gennaio con Sandro Bini e un workshop di street photography, dal particolare approccio situazionista, dal titolo “Derive Urbane“.
Il 9-10 marzo sarà invece la volta di Laura Manione, curatrice e direttrice dell’archivio fotografico “Luciano Giachetti – Fotocronisti Baita” di Vercelli, e presenza costante della rassegna, con il suo laboratorio sul portfolio fotografico, dal titolo “L’idea prende forma: il portfolio”.

Più volte, le strade di MoCu si sono incrociate con quelle di Chiara, e molte delle foto presenti sul nostro sito lo dimostrano.
Ma questa volta abbiamo preferito incontrarla e farle qualche domanda riguardo alla rassegna, alla sua storia e a quello che caratterizzerà questa edizione. Buona lettura e… Fate un pensierino sul partecipare; ne vale la pena!

 

Com’è nata l’idea di realizzare questa rassegna e perché questo titolo “Lo sguardo degli altri“?

La rassegna è nata in un momento in cui avevo bisogno di costruire qualcosa che avesse a che fare con il mio lavoro di fotografa. Volevo ampliare le mie conoscenze e allo stesso tempo portare a Modena professionisti di cui ho stima, per proporre ai fotografi modenesi nomi che qui, tranne eccezioni, non erano ancora stati, ma che meritavano di essere conosciuti da vicino. E volevo che fossero laboratori a prezzi più accessibili rispetto alla media, in modo che fossero alla portata di più persone possibile.

Lo sguardo degli altri” è un titolo molto semplice e corrisponde esattamente a quello che è nelle intenzioni della rassegna: ogni fotografo ospite ha una propria visione e quindi uno sguardo personale sulle cose: questo è ciò che mi interessa mostrare. Chi vuole lavorare con la fotografia ha bisogno di costruirsi una visione personale e, per riuscirci, è necessario formarsi anche attraverso il confronto con professionisti di alto calibro.

 

Questa è la terza edizione della rassegna. Cosa ha caratterizzato le precedenti edizioni e in che continuità si inserisce quest’ultima?

Questa terza edizione prosegue esattamente da dove si è conclusa la seconda. Ho mantenuto le stesse intenzioni e gli stessi obiettivi. Anche le difficoltà sono le stesse della prima edizione. Questa è una rassegna che non beneficia di contributi pubblici, vive delle iscrizioni di chi partecipa ai laboratori e della generosità degli ospiti che hanno creduto e credono nel suo valore culturale e umano, ma ha il sostegno del Teatro dei Venti che, grazie ad una lunga collaborazione artistica, da tre anni la ospita.

In queste tre edizioni si sono alternati nomi di rilevanza nazionale e internazionale. Come fotografa avevo maturato la convinzione che non esiste la fotografia di genere ma che esiste la fotografia in quanto tale e, in quanto tale, si esprime diversamente a seconda di chi la utilizza come strumento creativo. Quindi ho sempre proposto laboratori che affrontassero i diversi ambiti della fotografia, passando da nomi che fanno già parte della storia della fotografia come Tano D’Amico e Maurizio Buscarino, a nomi più contemporanei come Efrem Raimondi, fino ai più giovani come il Collettivo Cesura. Ma volevo anche lo sguardo di chi lavora con la fotografia senza praticarla, la figura del curatore. Per questo, fin dal primo anno, ho voluto fortemente la presenza di Laura Manione, curatrice e storica dell’arte, che continua la sua collaborazione con la rassegna e ogni anno porta a Modena un suo laboratorio.

Chi sono gli ospiti di questa terza edizione e perché hai scelto loro?

Quest’anno iniziamo l’11 di gennaio con “Altro che invisibili. Il paradosso delle immagini sugli immigrati“, incontro tenuto da Vittorio Iervese, docente di sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università di Modena e Reggio Emilia e presidente del Festival dei Popoli di Firenze. Nella sua attività di ricerca si dedica da diverso tempo alla cultura visualeL’incontro è aperto a tutti ma, per limiti di spazio, è richiesta la comunicazione scritta della propria presenza.

Il 19-20 gennaio avremo Sandro Bini, fotografo e docente presso l’Associazione Deaphoto di cui è direttore e fondatore a Firenze, il quale propone un workshop di ispirazione situazionista, “Derive Urbane“. Non un semplice workshop di fotografia di strada, ma un laboratorio in cui si parlerà di attraversare la città seguendo le indicazioni di un gruppo di artisti che negli anni ’50 a Parigi decisero di fare del camminare e della perdita dell’orientamento una pratica artistica. Questa pratica, secondo i situazionisti, ha sul pensiero un effetto di apertura, in quanto lo spaesamento porta a nuove consapevolezze. Chiaramente in questa versione fotografica, l’obiettivo sarà quello di lavorare sulla consapevolezza dello sguardo e la scoperta di nuove visioni.

Il 9-10 marzo, come già premesso, Laura Manione, curatrice, docente, storica dell’arte, porterà il suo laboratorio “L’idea prende forma: il portfolio“. Il portfolio è uno strumento di lavoro indispensabile per il fotografo, perché serve a presentare la propria idea di fotografia, ma spesso non è abbastanza conosciuto. Obiettivo del laboratorio sarà quello di capire come strutturarlo e secondo quali regole presentarlo.

 

Quando si pensa ad una rassegna fotografica spesso viene in mente un corso pratico, un workshop. E invece, come hai appena raccontato, il programma si apre con una conferenza che ragiona sulla strumentalizzazione dell’immagine. Perché questa scelta?

Quando ci sono le condizioni cerco di ospitare qualcuno che abbia voglia di fare una lezione aperta, breve, ma di approfondimento. Nel 2017 per esempio, William Guerrieri tenne una splendida lezione sui nuovi fotografi italiani degli anni ’70. Un incontro previsto della durata di un’ora si protrasse fino all’ora successiva, grazie agli interventi del pubblico.

Riguardo all’incontro aperto di quest’anno di cui parlavo prima, penso che per un fotografo sia indispensabile approfondire la conoscenza del peso delle immagini. Molti dei laboratori e degli incontri programmati hanno a che fare prima di tutto con la cultura fotografica e dell’immagine. Per “possedere” davvero lo strumento è necessario accrescere la propria consapevolezza rispetto alla lettura delle immagini che si vedono e che si producono. Per questo è necessaria una cultura fotografica, che niente ha a che vedere con l’uso pratico della fotocamera, ma con la conoscenza della fotografia come mezzo espressivo e comunicativo.

La conferenza di cui stiamo parlando non è destinata solo ai fotografi ma è aperta a tutti: considerati i tempi in cui ci troviamo, nei quali uso e abuso di fotografie producono effetti concreti sul pensiero di chi guarda, penso sia doveroso per chi si occupa della materia contribuire anche in questo modo, informando.

 

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