‘LETTERE a Nour’ è un pugno dritto nello stomaco che ti toglie il respiro. Ti fa venire voglia di alzarti, uscire dal teatro e scappare lontano, ma poi qualcosa ti tiene fermo. Un dovere morale che a volte tende a scomparire torna a fare capolino e ti obbliga ad aspettare. Il respiro torna, regolare, e continui ad ascoltare. A cercare di capire. 

Portato in scena al teatro Storchi di Modena dal 3 ottobre (ultima replica oggi, domenica 7 ottobre, alle 15:30) dai bravissimi Marina Occhionero e Franco Branciaroli, diretti da Giorgio Sangati, ‘Lettere a Nour’ è uno spettacolo che toglie il fiato. La storia è quella di un padre – intellettuale musulmano praticante che guarda all’Occidente e osserva la sua religione come un messaggio di pace e amore – e sua figlia, Nour, scappata in Iraq per sposarsi con un musulmano integralista conosciuto su internet, di cui si è innamorata.

L’autore del testo è Rachid Benzine: islamologo e filosofo francese di origine marocchina, esempio di una nuova generazione di intellettuali dediti allo studio del Corano in un’ottica di dialogo con le altre culture e religioni occidentali.  La scintilla che ha fatto scattare tutto sono stati gli attentati a Parigi del novembre 2015: da lì, il bisogno dell’autore di creare un “posto ideale in cui rendere possibile il dialogo”. L’unico modo, racconta Benzine, “era attraverso la narrativa. Un padre e una figlia uniti dall’amore. E perché questo amore continui a esistere, devono cercare di capirsi. Sono sé stessi senza mai escludere o rifiutare l’altro: quello che noi non siamo più capaci di fare”

Il ritmo è serrato, a scandire le parole che costruiscono il dramma epistolare tra padre e figlia la musica del trio Mothra: Fabio Mina (flauto, flauto contralto, duduk, elettronica), Marco Zanotti (batteria preparata, percussioni, elettronica) e Peppe Frana (oud elettrico, godin multioud ed elettronica). La scena è fissa, asfissiante. Ma non si guarda mai l’orologio, anzi: ci si lascia trascinare a fondo in un’apnea di gruppo dal sapore amaro, in cui i minuti scorrono veloci, fin troppo. La fine è più vicina di quanto si pensi e, quando arriva, quasi ci si dimentica di respirare di nuovo. 

Nelle parole di Nour c’è tutta la violenza della crepa che ha scavato l’Islam, dividendolo. In quelle di suo padre un amore delicato e prezioso, che non si arrende. Tra le righe ci siamo noi, gli “occidentali”, con le nostre responsabilità, c’è la tragedia che si è imposta su un nuovo mondo che stiamo ancora imparando a conoscere. Un mondo in cui le parole ‘responsabilità’ e ‘libertà’ hanno un peso non più ignorabile. 

Sarebbe facile voltarsi e andare via, indifferenti, lasciarsi alle spalle un Islam che potrebbe essere avvertito come lontano. Ma è un dovere, una necessità morale, offrire l’orecchio all’ascolto e, alla fine, riconoscersi in un dramma che ha il volto del mondo intero. Dice Benzine: “La magia è che alla fine di ogni spettacolo l’ascolto fra noi e persone come Nour, tentate dalla violenza e dalla morte, diventa possibile”. Prendiamo un po’ di questa magia e portiamola nelle nostre vite.