La stagione del teatro Storchi ha aperto i battenti con il nuovo spettacolo di Marco Paolini Nel tempo degli Dei – Il calzolaio di Ulisse, in cui il regista e attore sceglie di confrontarsi con lOdissea: un canto antico tremila anni, passato di bocca in bocca e di anima e di anima, che ha segnato in modo indelebile la storia dell’Occidente.

Photo credits: Gianluca Moretto

Teatro gremito come non mai. Tanti in fila per accaparrarsi gli ultimi biglietti rimasti; gente, voci, calca ovunque. Entro in platea e il sipario è aperto. Sul palco solo un piccolo palchetto, una fila di pannelli appesi sul fondo e un drappo di tessuto bianco arrotolato a circa 5 metri di altezza. Lo spettacolo inizia con un Ulisse vecchio e stanco che trascina un remo per il cammino degli Dei, per giungere allo ‘chalet’ Olimpo, casa di tutti gli Dei, dove c’è in programma una gran festa. Sulla strada Ulisse incontra un pastore al quale, controvoglia, racconta le sue avventure, che vengono superbamente messe in scena dai musicisti-attori sul palco.

Photo credits: Gianluca Moretto

La musica e la prosa si alternano con grande fluidità: il testo è ironico e l’analogia con l’attualità è così incessante e ricercata da trasformare Ulisse in un moderno profugo. Un apolide al ritorno a casa che, dopo aver visto, vissuto e subìto tanta violenza, non riesce più a farne a meno, e compiendo l’ennesima carneficina, si trova costretto ad abbandonare nuovamente la propria e vagare ancora. Gli Dei decidono di perdonargli quest’ultimo atto di violenza offrendogli l’immortalità: Ulisse rifiuta e, sicuro e deciso, decide di restare umano.

Photo credits: Gianluca Moretto

E come non pensare, dopo tanti viaggi, naufragi, prigionia, violenza e guerre, all’altra faccia dell’umanità? Come non pensare allo straniero guardato con ostilità per il solo fatto di essere nato altrove, avere un altro Dio o un’altra lingua? E quando, vedendo affondare un barcone in mezzo al mare, riusciamo addirittura a pensare al pericolo scampato o alla paura di perdere la nostra piccola e inutile immortalità fatta di case, conti in banca, assistenza medica, il crossfit il martedì e il giovedì, l’aperitivo il venerdì e il cinema il sabato, lo shopping all’outlet e la pizza a domicilio guardando la partita. Come non pensarci?

L’unico desiderio dell’Ulisse-profugo è quello di tornare a casa, desiderio da lui stesso reso irraggiungibile, e che per questo, ha reso indifferente tutto il resto.

Se Ulisse fosse vissuto ai giorni nostri, si sarebbe chiamato Ahmed e avrebbe avuto la pelle scura.

Photo credits: Gianluca Moretto