Ultima settimana per poter visitare Corpo a Corpo, la personale di Laura Forghieri, cara conoscenza di MoCu (qui le volte in cui ne abbiamo parlato). La mostra, a cura di Alessandro Mescoli e Massimiliano Piccinini con testo critico di Daniela Ferrari, è allestita allo spazio CRAC di Castelnuovo Rangone e terminerà il 3 Ottobre in presenza dell’artista.

Durante PAM privatissima abbiamo fatto quattro chiacchiere con Laura che ci ha raccontato qualcosa in più sull’esposizione e sul suo percorso artistico.

laura forghieri mocu modena cultura crac castelnuovo

Ciao Laura, è da tanto che non ci vediamo: cos’è cambiato nella tua ricerca ed espressione artistica negli ultimi anni? 

Sono passati quattro anni dal nostro ultimo incontro e, se devo pensare a cosa sia cambiato nella mia ricerca ed espressione artistica, mi viene subito in mente un diverso modo di approcciarmi al mio fare artistico, ora divenuto maggiormente aperto all’altro, anche nella scelta dei soggetti. Ho sempre lavorato molto sull’autoritratto e sul plasmare il mio stesso corpo, facendo sconfinare l’arte nella vita. Era una creazione ossessiva e febbrile. Di certo le esperienze emozionali e lo stato d’animo sono all’origine di ogni opera e ogni quadro e sono un’avventura al buio che nemmeno chi la crea conosce fino in fondo. Ma ora mi ritrovo a creare qualcosa, spero, e me lo auguro, di diverso da quei corpi eterei ed alieni dal mondo che tanto caratterizzavano nelle tematiche la mia ricerca artistica precedente.

 

Il corpo è ancora il tuo soggetto principale? 

Il tema del corpo, e della nudità in particolare, è ancora al centro della mia riflessione artistica come nei precedenti lavori, con la differenza che il corpo, ora, non è più dinamico , proteso in possibili ascensioni al cielo o in caduta spasmodica verso terra, ma viene congelato in posture più statiche, spesso inquadrate orizzontalmente, come in riposo, piuttosto che in abbandono. Penso per esempio all’opera “Arianna a Nasso”, ora in mostra a Castelfranco, che a livello di soluzione formale vuole anche essere una citazione del Cristo morto del Mantegna, per lo scorcio prospettico azzardato, anche se diverso, ma che mette in risalto il capo incassato nelle spalle. Soprattutto, questi corpi non sono più un’insostenibile involucro impermeabile all’irruzione degli altri-da-sé, anzi, ricerco molto il contatto con il mondo, con l’altro.

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In che modo pensi sia maturata la tua ricerca? 

Ho avuto la possibilità di entrare in contatto con altri “corpi” vissuti; il ciclo Melancholia, che ha preso avvio circa tre anni fa da una serie di incontri fatti all’interno di cliniche psichiatriche, ne è una prova. In un certo senso, si tratta sempre di autoritratti, poiché ho scelto di incarnare i panni e la pelle di altre donne che sentivo particolarmente vicine per vissuto emozionale ma, soprattutto, per la loro modalità di condursi nel mondo. Nei quadri precedenti vi era una tristezza di tipo “maligno”, come la chiamerebbe Eugenio Borgna citando Rilke, che tras-formavano i miei corpi in “corpi non vissuti, che prendevano commiato dal mondo, incrinati dalla inquietudine e dallo smarrimento”, per usare le sue parole. La malinconia che vado tracciando ora non è più quella che stravolgeva i volti e li ripiegava su loro stessi come si può vedere nel ciclo Ascensioni e cadute. Non è più l’angoscia che si vuole difendere dall’orrore del mondo. È un qualcosa di più delicato, che attende e tende alla guarigione, pensando a “Senza titolo”, 2020, che vede una fanciulla ripiegata su sé stessa ma con i palmi delle mani unite a cucchiaio, in attesa di ricevere qualcosa. Quest’opera andrà in donazione alla Casa di Fausta, realizzata dall’Associazione ASEOP di Modena.

Soprattutto, la tavolozza si è arricchita di nuovi colori, di azzurri e di rossi decisi, come l’azzurro che pervade il “Senza titolo” in mostra a Castelfranco, quadro che vuole rappresentare l’ignavia, o il rosso squillante che lacera il volto di “Agnese”, 2020, creando un ossimoro, un contrasto, tra i grandi occhi profondi della ragazza, che scrutano e attendono con speranza che qualcosa avvenga, e i toni di colore che sembrano farla gridare in maniera straziante.

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Laura Forghieri, Agnese, 2020, matite colorate ed ecoline su carta, 48x44cm
Puoi raccontarmi qualcosa in più sulla serie con la quale sei presente a PAM privatissima?

La mostra a Castelnuovo Rangone presso il CRAC vuole mettere in dialogo cinque opere, 3 di grandi e 2 di piccole dimensioni, di tre cicli diversi, ma che comunque riassumono la mia ricerca artistica degli ultimi anni mentre l’opera in mostra a Castelfranco Emilia vede l’ignavia come tematica affrontata, un corpo che, per citare Dante, è senza infamia e senza lode, “… che mai non fur vivi”. Un corpo che ha vissuto come morto, ancor prima di morire, senza rendersi conto d’aver comunque peccato. Forse sono un po’ gli “uomini senza inconscio”, così come li chiama Recalcati, il vero sintomo del soggetto moderno, ovvero, che questo non sia più il protagonista della scena. L’ho trovata una tematica molto attuale e che ha suscitato la mia curiosità.

 

Quali sono i tuoi progetti futuri? 

Ultimamente mi sto molto concentrando sul colore e i miei lavori prevedono due fasi: il colorare concretamente con pigmenti i corpi dei miei modelli e il riportare tutto su carta. Mi interessa continuare a riflettere sui molti modi con cui si esprime la sofferenza umana, soprattutto in alcune esperienze psicopatologiche, senza però rinunciare all’idea di poter offrire anche possibili soluzioni e, quindi, dare un taglio diverso e più luminoso ai miei lavori, rendendo quegli sguardi nuovamente capaci di relazione.