Settantadue è il titolo dell’esposizione di disegni e sculture di Nemo’s presso Studio Tape, in via Carteria a Modena, curata dal medesimo studio e da Cinzia Ascari. Il progetto, realizzato con il patrocinio del Comune di Modena, sarà visibile fino al 31 gennaio e, se non l’avete ancora visto, vale la pena sfruttare questi ultimi giorni.

Settantadue è il numero di saponette che l’autore ha intagliato durante i giorni del lockdown come testimonia il video proiettato all’interno della mostra: 72 days of lockdown soap.

Spiega Nemo’s:

Dal primo giorno in cui ho iniziato a usare quel sapone per lavarmi le mani come disinfettante, il lasso di tempo è diventato il processo di consumo del sapone.

Volevo fare questo lavoro per parlare della nostra identità e di come senza la comunità questa cambia, si trasforma. Quando i giorni passavano durante il lockdown, questa identità stava scomparendo come accade con la saponetta: oltre all’isolamento a causa della pandemia questo lavoro parla dell’isolamento in generale.

L’essere umano ha sempre utilizzato la propria vita come unità di misura, credendo di essere il centro dell’universo e della natura. La pandemia ha cambiato questa proporzione, ridimensionando l’umanità, le sue azioni e l’Io a un elemento insignificante rispetto all’immensità dell’esistenza, rendendola evanescente come un sapone.

 

Nemo’s ha riprodotto i suoi soggetti iconici in settantadue saponette, una per ogni giorno di lockdown in Italia: settantadue giorni, dal 22 febbraio al 3 maggio.

Un’attenta riflessione scaturita e scandita dal semplice gesto di lavarsi le mani.

72 days of lockdown soap si pone quindi come riflessione sull’essere umano, sulla sua identità e  relatività rispetto alla grandezza del pianeta che ci ospita.

A completare l’esposizione anche cinquanta disegni: il disegno è infatti pratica quotidiana e imprescindibile dell’autore che va a congiungersi con attività performative più urbane.

Dal padre medico eredita la precisione e la fascinazione per la complessità umana, mentre da sua madre, che lo ha sempre spronato nel disegno tanto da iniziare a farlo ancor prima di imparare a scrivere, la sensibilità.

S’iscrive al Liceo Artistico, periodo in cui si avvicina al writing e alle espressioni artistiche urbane. Dovendo scegliere un tag per firmare i suoi lavori su muro sceglie Nemo, come il capitano di Ventimila leghe sotto i mari, protagonista di uno dei primi fumetti di Winsor McKay, e  soprattutto come la parola latina per “nessuno”.

Volendo aumentare la complessità di un nome dalle molteplici facce aggiunge il genitivo sassone “s” diventando così “di nessuno”: Nemo’s.

Rappresentando gli aspetti più controversi dell’umanità ma anche fragilità, paure e affanni, Nemo’s crea esseri umani tutti in serie conformi a quei modelli standard che oggi sono la sua cifra stilistica.

Corpi nudi, informi con pelli flaccide e sguardi vuoti, ignavi davanti a una società inodore. La figura umana diventa così il pretesto per una profonda riflessione e denuncia sociale che grazie a un’abilità tecnica in costante evoluzione rappresenta con soluzioni mai banali.

Abusi, disusi, palazzinari, mafie, umani/disumani, alberi sradicati, immigrati sono sono alcuni dei temi affrontati dall’autore nelle sue opere, di seguito ne ricordiamo alcuni.

 

Mafia Capitale

Opera realizzata nel 2016 sulla facciata esterna del MAAM, Museo dell’Altro e dell’Altrove in zona Prenestina a Roma, progetto curato dall’antropologo Giorgio De Finis all’interno dell’ex mattatoio della fabbrica Fiorucci è autogestito da una serie di famiglie di rifugiati.

Con questo intervento Nemo’s ci riporta alle tristi dinamiche riguardanti la gestione dell’emergenza immigrati che ha visto pesanti sfruttamenti a scopo di lucro sui fondi destinati alle politiche sociali. Il corpo umano steso come un salame da affettare per il semplice profitto economico.

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Mafia Capitale, 2016. Credits: Nemo’s

 

Without name

Opera del 2015 a Messina dove realizza le sue grandi figure umanoidi appese come panni del bucato, una accanto all’altra in una successione senza tratti distintivi come i numeri della lunga lista nera dei morti nel mediterraneo. Una critica, spiega l’autore:

Sulle surreali modalità in cui i giornalisti e i politici trattano con totale e assurda incoscienza il tema delle morti in mare. Nella tragicità della morte, la parte malata ed egoista della nostra società, con un gesto assolutamente normale e spensierato, prende i corpi dal mare e li stende nudi come panni ad asciugare, come se il problema di queste persone fosse essere bagnate e non essere affogate.

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Without Name, 2015. Credits: Nemo’s

Dedica l’opera a Samia Yusuf Omar, una ragazza di Mogadiscio che nel 2007 partecipa alle Olimpiadi di Pechino diventando così un simbolo di riscatto per tutte le donne somale. Sognando le Olimpiadi di Londra e la libertà, la ragazza scappa dall’oppressione dell’integralismo intraprendendo un viaggio di ottomila chilometri a piedi, attraversando il deserto del Sahara per raggiungere, dalla Libia le coste dell’Italia.

Samia Yusuf Omar è annegata a largo di Lampedusa ed è a lei e a tutte le persone che non hanno raggiunto la costa che Nemo’s dedica Whithout Name.

 

Nemo’s a Labas

Per il Labas, vero e proprio esempio di riqualificazione urbana con una progettualità dal basso, da casa a sinergie di quartiere, Nemo’s trasforma completamente la superficie esterna di una delle strutture, in un momento difficile per l’associazione (2017) a causa del violento sgombero che sarebbe avvenuto di lì a poco.

Fotografia di Dante Cavicchioli

 

In occasione dell’esposizione presso Studio Tape ho avuto il piacere di fare qualche domanda a Nemo’s.

 

Le tue sculture di sapone concretizzano un gesto semplice in un momento storico molto complesso.

Il progetto è nato verso la fine di febbraio appena uscita la notizia del cosiddetto “paziente 0”. Alcuni giorni prima avevo ricevuto l’invito a partecipare a un progetto da Void Project, realtà fondata da Axel Void che organizza collaborazioni con altri artisti. Aveva come titolo home mural fest e consisteva nel realizzare un time lapse o un  piccolo video di documentazione di un’opera creata nel luogo dove si viveva la quarantena.

Il mio lavoro è stata una riflessione profonda di quello che stava accadendo in quel periodo, il lavarsi le mani e il sanificare tutto quello con cui entravamo a contatto era diventata la difesa principale contro il virus. Addirittura per alcune settimane i prodotti disinfettanti comuni non si trovavano più e chi ne aveva ancora poche scorte ci speculava vendendoli a prezzi altissimi.

La provocazione del mio lavoro sta nell’aver creato un’opera che per la situazione storica diventava importante non per il suo valore artistico o di oggetto da collezione, ma in quanto unico presidio di prevenzione contro l’infezione. Così ho prodotto settantadue saponette a forma di testa, una per ogni giorno di lockdown che ho vissuto, mi sono disinfettato e lavato con una di queste saponette documentando così lo scomparire giorno per giorno dei tratti anatomici della scultura.

 

Da sempre rappresenti i tratti più scomodi dell’umanità. Credi che i segni inscritti da questo periodo possano portare a un cambiamento rispetto alla situazione pre-Covid? Se si, migliore o peggiore?

Assolutamente no. Non ci hanno cambiato 200.000 anni di storia; credo che qualche mese di “difficoltà” sia totalmente ininfluenti. Non ci hanno cambiato due guerre mondiali, passate da neanche un secolo, stermini, guerre civili e fratricide, politiche economiche costruite sulla privazione di ogni diritto dell’altro, propagande da quattro soldi come le peggiori televendite, falsità, modelli economici e sociali irraggiungibili, ecc.

Qui la questione è molto più complessa e questa pandemia ha evidenziato il modo di come noi tutti, cosiddetti occidentali, vediamo la vita e intendiamo l’esistenza.

Non sappiamo più cosa significhino realmente le parole difficoltà, guerra, catastrofe, tragedia, abusandone così per sentirci vittime di qualcosa d’ingovernabile, autorizzarci a  lamentarci più forte e a completare il nostro parco di emozioni saturo di nulla.

Non sto dicendo che non ci sia stata sofferenza ma semplicemente che la nostra visione dei fatti è inversamente proporzionale a quello che la vita ci ha abituato a vedere.

Abbiamo una visione profondamente distorta della realtà dove un problema è tale solamente se ci tocca da vicino. La sofferenza quotidiana indotta dalle nostre scelte, in molte parti del mondo è molto ben peggio rispetto a quello che ci è accaduto.

Ogni singolo giorno con la nostra vita immacolata siamo mandanti di sofferenze atroci che non percepiamo tali solo perché poco più in là del nostro naso.

Qual è la soluzione? Star male di più e imparare cosa sia la sofferenza? Certamente no.Ma dovremmo ridimensionare la nostra esistenza, ritarando le grandezze sulla totalità delle cose e non solamente sul nostro ego.

Mi viene in mente una foto di Sebastião Salgado che raffigura la Miniera d’oro Serra Pelada in Sud America dove gli esseri umani sembrano loro stessi essere i parassiti.

Serra Pelada. © Sebastiao Salgado

 

A cosa hai lavorato in questi mesi?

Vivendo in una delle regioni più colpite dalla pandemia non ho potuto muovermi molto dal mio paese e quindi ho lavorato a dei piccoli progetti in casa. Uno di questi  quello delle saponette.

 

Che ruolo hanno video e fotografia all’interno delle tue opere?

Hanno un ruolo per lo più di documentazione e archiviazione.

 

Progetti in cantiere?

Imparare a fare la pizza.