Come anticipato dall’articolo di Tommaso Cave Caverni sul concerto di Mike Patton al Comunale di Modena (se ve lo siete persi, lo trovate qui), sono andata a Reggio Emilia per farmi raccontare da Olivier Manchion, membro fondatore degli Ulan Bator e attivo con il progetto Permanent Fatal Error, cosa lo ha portato a vivere a Reggio e a collaborare con formazioni quali Faust, Can, CSI e Swans.

 

Perché hai scelto di incontrarci in Piazza San Prospero? 

Ha una magia e delle luci incredibili. Di notte ti fa credere che possa essere tua… Invece è forse il posto più condiviso della città: chi a Reggio non è mai montato su uno dei leoni della basilica? Comunque, è mia.

 

Olivier, inizierei chiedendoti delle origini: quando e da cosa nasce il progetto Ulan Bator?

Parigi, 1987: avevo 17 anni e un basso appena comprato quando seppi di questa band che cercava un bassista, e così conobbi Amaury Cambuzat: i musicisti intorno a noi due sono cambiati più volte, siamo presto divenuti un trio, ma si può dire che noi due ne siamo e siamo stati l’anima pulsante. Inizialmente provavamo in un garage, poi abbiamo deciso di costruire uno studio di registrazione in una miniera di gesso poco fuori Parigi, nel cuore di una collina, a Bougival, imparando ad usare il cemento, a costruire muri… In questo posto incredibile e fuori dal tempo sono stati concepiti e registrati i nostri primi tre dischi, con il riverbero naturale molto bello dato dalla conformazione a volta della miniera. Tramite circuiti underground e alcune ottime recensioni la nostra musica è arrivata in America, abbiamo iniziato a suonare fuori dalla Francia, in Italia, Svizzera, Germania, Barcellona; nel 1996 abbiamo vinto un contest organizzato dal Ministero della Cultura francese e grazie a questo, in modo del tutto imprevisto, il nostro disco è finito in mano al Consorzio Suonatori Indipendenti.

 

Ecco il primo legame con queste nostre terre, e tue d’elezione: cosa degli Ulan Bator ha colpito l’attenzione dei CSI, secondo te?

Ferretti e Zamboni erano appena tornati da un viaggio in Mongolia, per cui certamente la prima cosa di noi che hanno notato è stato il nome, che avevamo scelto da ragazzi affascinati dalla steppa e da Gengis Khan. Con l’etichetta del Consorzio abbiamo pubblicato due album e siamo stati in tour per molto tempo; nello stesso periodo io e Amaury abbiamo iniziato a suonare anche nei Faust con un tour in Francia.

 

Come è accaduto che il percorso degli Ulan Bator intersecasse, dopo quello dei Faust, anche quello di Michael Gira degli Swans?

Dopo il nostro terzo album Végétale, uscito sempre per il Consorzio in Italia, desideravamo sonorità più cupe, che sono sempre state nostre sin dagli esordi; ascoltavamo moltissimo Soundtracks for the Blind degli Swans, per cui abbiamo pensato di contattare il produttore di quel disco, che si è rivelato essere lo stesso Gira. Stavamo per firmare con la Sonica, che raccoglieva l’eredità del Consorzio Produttori Indipendenti, e grazie a quel contratto siamo riusciti ad imporre Gira come producer e a lavorare con lui in un agosto caldissimo negli studi di Sonica fuori Firenze per l’album Ego:Echo, che Michael ha voluto poi pubblicare sulla sua allora nascente Young God Records.

Poco dopo quel disco e il tour relativo, ti sei trasferito a Reggio Emilia.

Sì, nel 2001 è uscito anche un disco di live e demo di Ego:Echo intitolato OK:KO, e io ho lasciato gli Ulan Bator; ho conosciuto una sera a Firenze quella che poi sarebbe divenuta mia moglie, reggiana, e da allora vivo a Reggio Emilia. Attorno al 2005 ho ripreso per 1 o 2 anni la collaborazione con Amaury, Ulan e Faust e in parallelo suonato molto con il “network” di Damo Suzuki, fondatore dei Can. Ho dato anche vita a Permanent Fatal Error, progetto con cui attualmente mi esibisco live, iniziato nel 1998 come progetto solista di sola chitarra folk e loop e che poi ha accolto altri musicisti al suo interno. 

Dall’esperienza internazionale di network artistico portata avanti da Damo Suzuki, su input di Roberto Fabbi (del festival Aperto) è nata l’idea di Arzân!, un supercollettivo reggiano di membri di band note del panorama locale, dagli Offlaga Disco Pax, Giardini di Mirò, Julie’s Haircut… ma anche nuovissimi musicisti. Tutti pari. Arzân! si esibisce occasionalmente in maxiconcerti fino a 40 membri, e poi c’è il suo corrispettivo al femminile Mâtilde.

 

Quali band della nostra zona ritieni che abbiano le potenzialità per avere successo in Italia e oltre?

Dovessi citarne una sola sicuramente i Dolpo, perché oltre alla loro musica, precisa e potente, hanno costruito un’immagine forte e adatta al pubblico internazionale, sono bravi nel do it yourself e sanno cosa vogliono fare. Anche i LVTE sono incredibili. Su un lato musicale quasi opposto, da Setti a Oscar di Mondogemello ci sono anche cantautori che hanno un potenziale pazzesco. In questi anni non mi sono limitato a promuovere i miei gusti musicali e ho incrociato tanti talenti.

 

Con gli eventi e i festival targati Red Noise, al Catomès Tot, attualmente a La Polveriera, e non solo, hai organizzato centinaia di concerti sia di band affermate sia di musicisti alle prime armi: cosa consiglieresti a chi sogna di fare della musica il proprio lavoro, o almeno un ambito da cui ricavare soddisfazioni?

Soprattutto viaggiare! Ho notato che molte band reggiane non escono spesso neppure dalla regione, invece è importantissimo confrontarsi con palchi e situazioni che non si conoscono, anche con le difficoltà e le incomprensioni che possono sorgere, vedere come si muovono altre band dietro le quinte, sono tutte esperienze che rafforzano un gruppo ed aprono la mente.

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