C’è un bicchiere, solitario, su un bancone in legno, dipinto di rosso. È ricolmo di un vermentino fresco, che profuma di Sardegna. Un uomo elegante, in abito scuro, lo afferra con sicurezza. Sorride. Accanto a lui, un’anziana signora si aggira pensierosa, immersa tra Umberto Eco e Johnatan Coe. Dall’esterno, il vociare di tre ragazze, che chiacchierano sedute a uno dei tavolini. Sui muri, negli spazi liberi dagli scaffali, ci sono ricordi di murales, dediche e locandine, che raccontano una storia, una bella storia, in compagnia dei libri e del vino.

È quella della Piola, libreria, wine bar e piccolo (solo per dimensioni) centro culturale italiano e non, nel cuore di Bruxelles, a due passi, ma proprio due, dalle istituzioni.

Un coacervo di incontri letterari, degustazioni enogastonomiche e piacevoli rendez-vous internazionali, divenuto negli anni un prezioso punto di riferimento, per chiunque passi da queste parti.

Le da voce il suo fondatore e gestore, Jacopo Panizza, classe ’74, bolognese di origine, modenese di adozione e di fatto, trapiantato ormai da diversi anni nella capitale d’Europa.

 

Ciao Jacopo, partiamo dal principio.

Certamente. Ho studiato Giurisprudenza a Modena, con un Erasmus in Germania, poi ho proseguito gli studi negli Stati Uniti, per due anni. Dopo sono rientrato per laurearmi e per svolgere il servizio civile, al Palazzo dei Musei. Una volta concluso, sono stato a Londra per altri due anni per lavoro e, infine, sono arrivato qui a Bruxelles.

 

Come mai proprio in Belgio?

Dovevo stare qui solo pochi mesi, per uno stage, nell’ambito del diritto ambientale, presso una ONG, sulla scia di quello di cui già mi occupavo in Gran Bretagna. Solo che non ero soddisfatto, non mi piaceva. Allora ho iniziato a fare altro, piccoli lavoretti. E, nel 2007, ho deciso di dare vita questo locale.

 

Da dove nasce l’idea?

Dall’incontro con il mio attuale socio, Nicola, che aveva un’enoteca, aperta solo alla sera, a cui mancava tutta la parte culturale e diurna. Avevo notato, in quel periodo, che la comunità italiana fosse sempre più numerosa e che non ci fosse una realtà in grado di offrire eventi e iniziative indirizzata a essa. Quindi abbiamo deciso di unire le forze e di inaugurare la Piola, di cui siamo estremamente felici e che sta per compiere dieci anni di attività.

 

 

Da Zerocalcare a Marina Rei, da Federico Rampini a Vinicio Capossela, passando dai ragazzi di Lercio ad Antonio Pennacchi, solo per citare alcuni dei più recenti… Avete avuto tantissimi ospiti, nel corso del vostro lavoro. Quale, fra di loro, ti ha colpito di più?

Beh, Rita Levi Montalcini. Senza dubbio. Era giugno 2008, se non ricordo male. Fu un’opportunità dell’ultimo minuto e non trovammo un giornalista per introdurla al pubblico, quindi lo feci io, anche se normalmente non è compito mio. Comunque, di solito mi sento sempre molto rilassato, di fronte a questi personaggi. Ecco, con lei no. Trasmetteva un’aurea di riverenza unica. La presentai semlicemente come Signora, perchè ero così emozionato, che non riuscii a trovare un titolo migliore.

 

E queste esperienze vi hanno inoltre permesso di espandere il campo, differenziando anche il tipo di iniziative.

Esattamente. Insieme a un altro socio, Stefano, organizzo eventi molto più impegnativi, sempre qui in città, in strutture più capienti e ad ampio respiro. Negli ultimi mesi, ad esempio, abbiamo chiamato Fiorello, Marco Travaglio e Aldo, Giovanni e Giacomo.

 

Per il futuro, invece, che programmi avete?

Inizialemente, ci eravamo dati il limite di sette anni, per poi fare un bilancio di questa avventura. Arrivati a quel punto, lo abbiamo spostato ai dieci, a settembre 2017. Faremo di sicuro una grande festa, con tanti artisti e amici, che sono passati di qua, per celebrare il decennale. E poi vedremo. Ci piacerebbe evolvere il progetto, svilupparlo, senza necessariamente allargarci, ma reinventandoci, con un nuovo format. Il rischio, dopo un po’, è sempre quello di stancare i clienti e di non divertirci più. Amiamo quello che facciamo e vorremmo continuare a mantenere questa gioia, questa passione.

 

Da italiano, che vive a Bruxelles dal 2004, come giudichi la sua scena artistica e culturale?

È una città favolosa, sotto questi punti di vista. Vi sono identità differenti, francofone, fiamminghe e internazionali, che si mescolano e danno vita a qualcosa di unico. Il MIMA, il Museo di Arte Contemporanea a Molenbeek, ne è una sintesi perfetta: un progetto di un gruppo di ragazzi, volto a fornire nuova linfa a un tessuto sociale difficile, in un quartiere tristemente noto, di questi tempi. Fin troppo. Bruxelles è in grado di offrire tantissimo, se uno ha voglia di provare a viverla e a scoprirla.

 

Un’ultima cosa, allora. Ti senti ancora legato a Modena?
Sei lontano da molto tempo, ormai.

Per fortuna non ho mai perso la cadenza emiliana, pur avendo viaggiato tanto e imparato lingue diverse. Mi tiene unito alla terra in cui sono cresciuto. Torno a Modena ogni tanto e mi sembra che sia migliorata negli anni, molto più attiva e interessante, rispetto a un tempo. Lì ho le mie radici, i miei genitori, i miei amici.

E poi, anche se sono qui, senza un pezzo di parmigiano, non potrei proprio stare.