La fine del 2019, per la sottoscritta, è stato un periodo ricco di novità: la più importante ed emozionante è stata entrare nella redazione di MoCu Magazine e per MoCu, di riflesso, “inciampare” in me. L’ingresso di elementi nuovi in una redazione ha sempre come conseguenza la nascita di situazioni nuove e nuovi incontri. Nel mio piccolo, da dicembre, seguo il cartellone di Trasparenze Stagione del Teatro dei Venti e fino ad ora ho cercato di raccontarvi al meglio tutto quello che ho visto in questi mesi (qui trovate gli articoli realizzati da Damiana, ndr). Indispensabile è stato l’aiuto delle fotografie di Elisa Magnoni: senza di esse, il racconto sarebbe stato “a metà”. Purtroppo poi, dal 21 febbraio, tutti noi siamo stati catapultati di una realtà estranea, fatta di urgenze e restrizioni. Soprattutto con gli ultimi provvedimenti del nostro Governo, la cultura ha dovuto fermarsi. Con le realtà che abbiamo imparato ad amare abbiamo voluto riflettere su quanto stia accadendo e abbiamo posto loro delle domande. Di seguito, le risposte di Stefano Tè, regista e direttore artistico del Teatro dei Venti.

Ciao Stefano. Qual è la prima cosa che hai pensato dopo la comunicazione in merito alla chiusura del teatro?
Chiudere il teatro per noi significa chiudere le piazze, le carceri, le attività di studio e residenza artistica in Appennino. Ho pensato all’azzeramento. Al vuoto. Poi chiaramente la preoccupazione ha avuto il sopravvento. Ad oggi le nostre attività coinvolgono tante persone, danno lavoro e sostegno ad una comunità molto estesa. La preoccupazione prevale sicuramente su tutto.

Gombola Borgo Teatro dei Venti Progetto artistico culturale appennino modenese
Il borgo di Gombola, sede del progetto artistico-culturale nell’Appennino modenese

Quale è stata invece la reazione e la strategia adottata dal teatro a seguito della chiusura?
Inizialmente abbiamo immaginato soluzioni per poter proseguire almeno con le attività di studio e residenza, rispettando le indicazioni comportamentali. Con l’ultimo decreto abbiamo chiuso definitivamente, anche gli uffici e ora anche gli attori non si incontreranno più in teatro per allenarsi.

Ci sono state reazioni da parte del pubblico?
Le reazioni sono state tutte di comprensione e solidarietà. Il danno che stiamo subendo è gravissimo e chi ci segue da anni lo sa bene. Sarà difficile ripartire.

Pensi che una strategia comunicativa studiata possa portare vantaggi in situazioni di emergenza come questa?
Penso che si debba far prevalere il buon senso. In questi casi la comunicazione impazzisce. Siamo travolti da una valanga di stimoli che non riusciamo a smaltire perché sono intrisi di negatività. Anche dire “ce la faremo” è negativo. Opterei per il silenzio o al limite per proiezioni sul dopo.

 

Il Teatro dei Segni, lo scorso 14 febbraio, in occasione dello spettacolo di Roberto Latini – Fotografia di Elisa Magnoni

Questa occasione ti ha dato modo di sviluppare nuovi spunti di riflessione?
Mi occupo di teatro perché credo nell’utilità del teatro. Questa situazione può far comprendere quanto siano necessari e sottovalutati settori che solitamente vengono martoriati da tagli e limitazioni. Penso alla Sanità, all’Istruzione e alla Cultura. Dovremmo rifondare un sistema che parta essenzialmente da questi settori. Ma dubito che possa bastare una pandemia.

Come consiglieresti di passare questo periodo in cui non si possono frequentare luoghi di aggregazione (letture, ascolti, visioni, attività, …)?
L’accelerazione che è oggi dominante non dà spazio all’esitazione e alla riflessione. Potremmo prenderci questo tempo, se non pervaso dall’ansia, per riflettere, esitare, sospendere piani, dedicandoci alla giornata. Questo può essere un buon esercizio. Considerate le attuali restrizioni, che ci tengono lontani da palestre e parchi, potremmo fare esercizi diversi.

Si può fare cultura senza uno spazio pubblico, senza il vissuto fisico delle persone?
Si può fare cultura attraverso uno schermo, un foglio, una tela. Il teatro si fonda sulla relazione dal vivo. Inutile immaginare soluzioni alternative. Ogni soluzione si allontana dal teatro. Si potrebbe evitare in questo caso di opporsi. La situazione è questa. C’è una limitazione. Accettiamo la condizione, mettiamoci buoni e facciamoci trovare pronti quando questa situazione sarà passata.

InCertiCorpi – Fotografia di Chiara Ferrin

Vuoi raccontarci cosa avremmo visto il 13 marzo 2020 con il vostro “InCertiCorpi”?
InCertiCorpi è uno spettacolo liberamente ispirato a “Pittura su Legno”, opera di Igmar Bergman. Il cavaliere Block ed il suo scudiero tornano in patria dopo le Crociate, ma trovano ad accoglierli la peste. Ad annunciare questa piaga, alle porte del villaggio, c’è una ragazza. Il nostro InCertiCorpi parte da questo personaggio, riportandolo nel contemporaneo.