Gioco. / Giò·co / sostantivo maschile. Qualsiasi esercizio, singolo o collettivo, cui si dedichino bambini o adulti per passatempo o svago o per ritemprare le energie fisiche e spirituali. Giochi all’aperto, infantili, di società. Giochi di parole. Giochi matematici. Giochi di prestigio. In francese la parola “giocare” viene tradotta in “jouer”, in inglese in “to play”.

Photo credits: Elisa Magnoni

Entrambi i termini in queste lingue significano anche “recitare”. Quasi per dire che l’interpretazione (o il teatro, allargando il campo) sia un gioco o un divertimento? Io non credo sia così.
Il teatro (e l’arte in generale) non è mai un “passatempo”. È una disciplina: richiede studio, tempo, dedizione, fatica. E tanta competenza. Ma il gioco, in un qualche modo, rientra nel campo della conoscenza: il gioco fa divertire ed è attraverso esso che i bambini fanno esperienza del mondo. Stessa cosa per gli adulti. Il divertimento ci fa abbassare la guardia e permette a qualcos’altro di entrare in noi. In un certo senso, quello che stasera abbiamo assistito al Teatro dei Venti è esattamente questo. Mi viene in mente  Pirandello quando parla del sentimento del contrario:

Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. […] Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s’inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei.

Marco Chenevier porta in scena “Quintetto per il secondo appuntamento della stagione Trasparenze del Teatro dei Venti. Saluta il pubblico in modo informale e presenta il suo spettacolo. Ci racconta che la performance in questione serviva ad aprire uno spettacolo di repertorio del TIDA Theatre Dance, di cui lui è un membro, ossia “Montalcini Tanz: questo spettacolo prende spunto dalla sterile polemica di Emilio Fede nei confronti della scienziata Rita Levi-Montalcini in seguito ai tagli alla ricerca scientifica. C’è soltanto un piccolo, insignificante problema: la coreografia è composta da cinque danzatori. Ed ecco. Qui il pubblico si sente per un attimo smarrito: ma perché sul palco vediamo solo lui? Gli altri quattro dove si sono nascosti? Chenevier ci racconta, in modo ironico, cosa è successo nel mondo dello spettacolo negli ultimi tempi ed introduce il concetto di “crisi”: ci racconta dei tagli che hanno subito i finanziamenti allo spettacolo dal 2008 ad oggi, tagli che si aggirano intorno al 35% ma che in Val d’Aosta sono saliti addirittura all’80%, ci rende partecipi della sua (ironica) frustrazione nel vedere letteralmente dileguarsi i suoi colleghi al solo pensiero di esibirsi per pochi euro. E quindi che fare? Oramai il pubblico è in sala e non sembra per nulla intenzionato a tornarsene a casa. O di andare al cinema, come Chenevier stesso suggerisce. Niente, bisogna far qualcosa. The show must go on, come canta Freddie Mercury. Lo spettacolo deve farsi. Rimane solo una soluzione, l’unica. Utilizzare quello che si ha. Ossia il pubblico: sarà proprio lui a sopperire la mancanza degli assenti.

Ed è così che stasera ci si ritrova sul palco. Siamo tutti giunti al Teatro dei Venti convinti di gustarci uno spettacolo di danza, comodamente seduti al nostro posto, ed invece ad undici persone (tra cui la sottoscritta) è toccato il compito di lavorare. Due tecnici delle luci, due datori luci, tre tecnici del suono e quattro meravigliosi ballerini inesperti. Veniamo tutti indottrinati velocemente su quanto dobbiamo fare: in realtà sono più suggerimenti approssimativi che vere e proprie istruzioni ma incredibilmente lo “spettacolo dello spettacolo” prende vita. Chenevier veste i panni della neurologa e sul palco, tra passi di danza e il monologo finale di Blade Runner, si instaura il legame tra coreografia e scienza.

Noi disorientati e divertiti neo “addetti ai lavori” cerchiamo di seguire al meglio quanto accade sulla scena: numerose sono le gaffe e le conseguenti strizzate d’occhio del performer. Gli errori dovuti alla nostra mancanza di esperienza diventano materia comica dirompente. Ma gli assoli di Chenevier sono magnifici ed eterei: sono i momenti in cui la fase comica viene messa da parte e siamo spettatori di una emozionate performance di danza che riflette tecnica ed è interpretata con splendore ed intenzione. La sua è danza che diventa poesia e carne: nella fase della “reazione” il suo corpo ci trasmette la voglia di uscire dagli schemi; nella fase del “sogno” sono i movimenti circolari a comunicare al pubblico una sensazione onirica. Al termine di tutto, la sensazione finale è di estremo caos e di risate esilaranti. Ma lo spettacolo ha saputo essere anche estremamente toccante.

Avevo iniziato questo articolo con la parola “gioco”. In un certo senso, stasera noi del pubblico ci siamo ritrovati davvero a giocare. Abbiamo giocato e riso. E questo ci ha costretti a riflettere al tempo stesso: la cultura è una questione di estrema importanza ma è innegabile che sia in sofferenza. Richiede sostegno, richiede fondi e addetti ai lavori professionisti. Senza di essi, l’arte è capace comunque di sopravvivere perché è necessità imprescindibile, è linfa vitale. Ma rimane monca. Quintetto appare quindi come grido di sofferenza di un teatro in forte crisi. Un grido che pone davanti ad una situazione difficile e costringe ad una presa di coscienza attraverso un’ironia dissacrante. La mancanza di fondi in questo spettacolo diventa un’azione di protesta efficace e significante. E ci commuove perché l’arte sopravvive sempre. Nonostante tutto.

Prossimi appuntamenti della stagione:
www.trasparenzefestival.it
Info e prenotazioni: 345 6018277
biglietteria@trasparenzefestival.it
Teatro dei Venti – Via S.Giovanni Bosco 150/b, Modena