Una bandierina degli Stati Uniti d’America.
Un tavolo con 2 sedie.
Erba sintetica e una sacca da golf.
Un frigorifero e una radio anni ’50.

Fotografia di Marina Alessi

Questi i pochi oggetti che gli attori, nei primi minuti di spettacolo, portano in scena dando vita alla scenografia di “Arizona” di Juan Carlos Rubio, giovane drammaturgo spagnolo.
Il testo, scritto circa 15 anni fa, assolutamente premonitore, tratta del progetto Minute Man, nato negli Stati Uniti allo scopo di reclutare volontari per sorvegliare la frontiera messicana e limitare così gli ingressi clandestini. 

I due personaggi, straordinariamente interpretati da Laura Marinoni e Fabrizio Falco, sono una coppia sposata che si immola alla causa del progetto trasferendosi nel deserto dell’Arizona.
Lei, Margaret, in tutto e per tutto una donna anni ’50, nell’abbigliamento e nei modi: succube, permissiva, compiacente.
Lui, George, completamente schiavo del progetto, ossessionato dallo spirito patriottico e dal suo ruolo di sorvegliante delle frontiere. 

I giorni, scanditi solo dal comparire di tante bottiglie di plastica abbandonate sul palco, passano lenti, dando a Margaret il tempo per riflettere sulla loro presenza in quel luogo dimenticato. I dubbi, le incertezze, le domande la assalgono, soprattutto perché entrambi i coniugi hanno origini straniere; i loro nonni, infatti, arrivarono negli Stati Uniti anni prima, alla ricerca di fortuna, alla stregua dei messicani che con cotanta energia, George cerca di allontanare e far indietreggiare, anche con l’uso delle armi.
Margaret si guarda allo specchio e si vede dall’altra parte della frontiera.
George, alienato dall’odio che la propaganda martellante gli ha inculcato, non vuol sentir ragione.

Fotografia di Marina Alessi

Col proseguire della storia il clima tra i due si fa sempre più teso, Margaret è tormentata dal senso di colpa e passa dalla sfrenata allegria al pianto convulso, fino a supplicare il marito di ritornare a casa, per allontanarsi, non vedere e dimenticare.  Il tragico epilogo, per quanto prevedibile, è fortissimo, colpisce lo spettatore e lo trasporta ai giorni nostri, ai femminicidi dai quali l’Italia è quotidianamente macchiata. 

Fotografia di Marina Alessi

Un testo attualissimo che anticipa di diversi anni la costruzione del muro di Donald Trump, ma che soprattutto mette in luce l’incapacità dell’uomo di percepire come le ingiustizie che talvolta applica sugli altri siano state precedentemente da lui stesso subìte. Quando ci si ritrova dall’altra parte, cambia tutto. Non esiste più l’uomo, esiste solo il diverso, il nemico, il ladro. 

Una totale mancanza di immedesimazione.
Una totale mancanza di empatia.
Una totale mancanza di memoria.