Parlare di Jean-Michel Basquiat e del suo periodo modenese senza cadere nelle domande cliché, raccontando tutto ciò che è già stato raccontato, non è facile.

Le testimonianze di quelle due settimane sono poche e spesso già affrontate da moltissimi (d’altronde sono state solamente due settimane).

Fortunatamente l’importanza di quel momento non sta solamente nella presenza di Basquiat a Modena, fine a se stessa, ma nella comprensione di come quell’evento abbia poi influenzato personaggi e luoghi del nostro territorio.

Un artista d’oltreoceano, nero, con un modo di dipingere spesso arrabbiato e furioso, arriva in una cittadina come Modena, ancora legata per certi versi al passato.

Un evento centrale, di quelli che segnano in parte l’evoluzione dei luoghi e dell’arte.

Per questo ho incontrato Fabiola Naldi, storica dell’arte, curatrice, docente e grande personaggio dell’arte urbana.

Insieme a lei abbiamo guardato questo episodio da un punto di vista differente: quello di chi quell’epoca non l’ha vissuta direttamente, ma ne ha vissuto gli sviluppi, e può trasmettere una visione più ampia sul periodo, sui suoi personaggi e su ciò che è successo dopo. Una visione che, da docente e importante figura della street art, ci porta dentro alla storia dell’arte, raccontandoci di Jean Michel Basquiat come di un artista che usa la strada senza essere un writer.

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Fabiola Naldi. Fonte: Artefiera Bologna

 

Durante il periodo di Basquiat in Italia eri ancora una bambina. Ma gli anni ‘90 sono ancora anni di grande fermento artistico, con l’evoluzione di ciò che era nato nel decennio precedente.  In quegli anni frequentavi Bologna, l’università e il mondo dell’arte: com’era l’ambiente studentesco e culturale di quel periodo?

Sono nata a Bologna e nei primi anni ‘90 iniziavo l’università.

La divisione tra gli anni ‘80 e ‘90 è stata molto sottile, soprattutto per quanto riguarda le produzioni indipendenti e le sottoculture: il passaggio è praticamente impalpabile. Dopo i violenti ed incredibili anni Settanta le occupazioni non solo studentesche e culturali si modificano ulteriormente e danno vita a indimenticabili esperienze soprattutto a Bologna. Buona parte delle occupazioni iniziano ad emergere negli anni ‘80 e proseguono negli anni successivi, in modo particolare a Bologna.

I miei ricordi, le mie frequentazioni, i miei “coinvolgimenti” culturali partono dalla seconda metà degli anni Novanta.

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Bologna. Foto di Enrico Scuro

Sono anni in cui da un lato l’Accademia di Belle arti e dall’altra il DAMS (nel quale lavoravano ancora moltissimi docenti della “prima guardia”, quella intellettuale/creativa) agivano costantemente spesso in collaborazione.
Entrambe le istituzioni oggi sono molto cambiate e riconosco all’Accademia di Belle Arti una maggiore capacità di intercettare nuove forze, nuove proposte, nuove tipologie di esperienza estetica e di teorie e studi sul contemporaneo. Per quanto mi riguarda ho difficoltà a confrontare il dipartimento in cui mi sono formata (e per il quale ho lavorato per molti anni) con la realtà attuale che ha una “ragione di esistenza didattica” completamente diversa da quella di allora.

Vent’anni fa scegliere di frequentare il DAMS significava anche abbracciare un modo di studiare, di interpretare e di applicare metodologie, visioni e anche sogni.

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3 marzo 1977. Umberto Eco e Luigi Squarzina all’assemblea del DAMS occupato. Foto di Enrico Scuro

 

Modena è solo a due passi, frequentavi anche l’ambiente modenese?

No non così tanto come avrei voluto. Ho invece frequentato personalmente e culturalmente Ravenna e la Romagna per una fervida, crescente e talentosa scena teatrale come il Teatro delle Albe, Fanny & Alexander, Ortograph, Masque e i Motus, Societas Raffaello Sanzio. Per questo se ti dovessi dire quale altra città emiliano-romagnola io abbia frequentato maggiormente non posso dire Modena.

Modena è stata invece una frequentazione spesso casuale per conferenze, piccole mostre, collaborazioni curatoriali, ultimi ma solo in ordine di frequentazione Pietro Rivasi, Pierpaolo Ascari e il progetto Urbaner (a cui sono legata per intenti comuni).

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Teatro delle Albe. Ermanna Montanari, Giusy Zanini. Fotografia di Enrico Fedrigoli, 2000

 

Pensi che l’arrivo di Basquiat nei primi anni ‘80 abbia cambiato qualcosa nel panorama artistico di Modena e delle città limitrofe?

Nel 2006 mi occupai di un lungo saggio sull’origine dell’Arte Urbana in occasione di una complessa pubblicazione corale voluta per il trentennale dei movimenti del ‘77 (Atlante dei movimenti culturali dell’Emilia-Romagna, a cura di Piero Pieri e Chiara Cretella, Clueb, bologna 2007). In questo saggio scrissi approfonditamente del writing e del lettering a partire dagli indiani metropolitani fino ai primi anni 2000, chiudendo la ricerca con i giovani Blu ed EricailCane, allora attivi soprattutto a Bologna.

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Blu. Via Gandusio. Fonte: Zero Magazine

Le riflessioni che ho fatto sull’Atlante partivano da una situazione dolorosa e complessa per la città di Bologna: la presenza fortissima e poi la mancanza fortissima di una giovane professoressa del DAMS, Francesca Alinovi, che portò in Italia le prime testimonianze di Arte urbana a 360 gradi.

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Francesca Alinovi

La mostra “Arte di Frontiera. New York Graffiti” organizzata ad un anno dalla sua morte, nel 1984, si basava sulle intenzioni, le visioni, le proposte critiche avanzate da Francesca Alinovi nei pochi anni di lavoro e di studio americano su questa nuova disciplina (molti sanno che Francesca perse una valigia con molti materiali recuperati nei suoi molti viaggi newyorkesi). Perciò il 1984 segna la presenza interessante, soprattutto in una città come Bologna, di questa mostra che porta in Europa il writing, il lettering: una mostra in cui non c’era Basquiat, ma c’era Keith Haring e altri artisti, molto importanti, che frequentavano gli stessi luoghi frequentati da Basquiat.

 

Conosci qualche artista che è stato direttamente influenzato da Basquiat e dalla sua arte primitiva nel periodo della sua prima mostra modenese o negli anni immediatamente successivi?

Per sapere se sono stati influenzati bisognerebbe chiedere ai modenesi DOC, come Franco Guerzoni e Franco Vaccari. Credo che Jean Michel Basquiat abbia influenzato tutti gli artisti della sua generazione, soprattutto coloro che sperimentavano segno e tratto attorno al fumetto e l’illustrazione.

Posso immaginare che, più che altro, tutti questi artisti abbiano percepito la sua “veloce” presenza per la città, perché le testimonianze raccontano che usciva di notte ad orari improbabili con la bomboletta.

Posso solo immaginare quanto i muri di Modena abbiano “ospitato” le sue scritte, le sue tag, i suoi pensieri. Era proprio una sua caratteristica dipingere in maniera forsennata e ovunque.

D’altronde noi sappiamo, dagli scritti di Basquiat, che il suo ricordo dell’esperienza modenese è molto offuscato e non dei migliori. Ha una memoria estremamente “sballata” del periodo italiano.

 

Parliamo di Mazzoli: lo hai mai conosciuto?

Lo conosco certamente ma non benissimo. Mi è capitato di recensire alcune sue mostre per Flash Art ma non ho mai lavorato con lui.

Posso dire, però, che Mazzoli ha una credibilità internazionale indiscutibile, soprattutto per la lungimiranza e la costanza con cui ha scelto determinati artisti. Sono anche convinta che che sia molto più conosciuto e apprezzato fuori da Modena che in città.

 

Come sappiamo divenne molto riconosciuto per aver dato vita al movimento della Transavanguardia, un tipo di arte con un’estetica molto lontana da quella di Basquiat. Secondo te come mai si è concentrato su un artista così diverso da ciò che trattava di solito?

Sì questo è vero, credo che la questione si muova attorno al modo di intendere la pittura in un’epoca “postconcettuale” che dalla fine degli anni 70 rifiuto le pratiche immateriali delle seconde avanguardie per “tornare” alla pittura con nuova e trasversale idee. Il concetto di pittura di quegli anni, a volte, trascende il mezzo stesso. Sono anni in cui la pittura viene modificata, trasformata.

Il mezzo pittorico diventa un pretesto per indagare la superficie interna ed esterna al supporto stesso e anche allo stesso processo. In questo Basquiat è un artista perfettamente coerente con la sua generazione

 

Sappiamo che Francesca Alinovi era presente insieme a Mazzoli alla mostra newyorkese dove il gallerista ha conosciuto Basquiat. Pensi che possa essere stato consigliato o influenzato da lei in qualche modo? Avevano qualche tipo di legame?

Io credo che la frequentazione di Mazzoli con Basquiat a New York sia svincolata da Francesca, anche se in realtà è impossibile che non si vedessero e non si frequentassero. Oltretutto lei era di Parma e, sapendo quali artisti Emilio trattava in quel periodo, mi sento di dirti che potesse esserci una frequentazione e una conversazione abbastanza continuativa tra i due.

Però non posso dire che l’esposizione di Basquiat a Modena sia stata merito di Francesca Alinovi, credo semplicemente che fosse dovuta alla necessità di portarsi “a casa” degli autori di un certo tipo. C’era nell’aria un modo diverso, nuovo e inaspettato di osservare la realtà e di usare la pittura nell’ambiente, e questo a Mazzoli lo si deve riconoscere.

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Emilio Mazzoli. Fonte https://basquiatamodena.wordpress.com/

Credo che lui abbia percepito una straordinarietà; Basquiat aveva un tratto estremamente selvaggio, un modo di trattare la pittura in una maniera che va oltre l’avanguardia stessa.

Quella famosa esposizione di New York è una mostra in cui anche gli altri artisti non sono così tanto semplici: sono artisti che rileggono la superficie pittorica e la mettono in relazione in modo molto eterogeneo con altre tecniche.

Inoltre Basquiat era già il più famoso, insieme a Keith Haring.

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Untilend, 1985. Fonte https://basquiatamodena.wordpress.com/

Bisogna sottolineare anche il fatto che Basquiat dimostra di essere un grandissimo disegnatore e un grandissimo pittore ma non un writer.

È un artista che usa la strada, ma quando approda alla tela lo fa in maniera estremamente consapevole. Questo non succede per gli artisti che lavorano in strada: non smetterò’ mai di dire che il writing su tela ha “ragioni di esistenza” fuori dal “canone urbano” e come tale dovrebbe essere concepito in modo quasi opposto allo spazio esterno della superficie murale. Inoltre posso aggiungere che allora come ora sia impossibile non notare, conoscere, approfondire ed amare Jean Michel Basquiat, un’artista così potente e puro da permettersi di camminare attraverso la storia dell’arte contemporanea con la sua “idea” di pittura.

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Jean-Michel Basquiat, New York NewYork. Acrylic oilstick, spray paint, silver spray paint and paper collage. 128.4×226.2 cm

 

Parliamo di graffiti e tag: quando Basquiat trascorse quelle due settimane a Modena sappiamo che riempi la città con i suoi tag “Samo©”, dei quali probabilmente non ne sono rimasti. Ma negli anni il “fenomeno Basquiat” ha portato writers sconosciuti a replicare quelle scritte. Cosa ne pensi?

In realtà non era la tag del suo nome. A differenza dei writer, che taggano loro stessi con i nickname che scelgono, il caso di Basquiat è diverso. Samo© è un acronimo (Same Old Shit), perciò avrebbe più ragione di essere ripetuto di quanto non abbia senso replicare una tag di qualsiasi altro writer.

Il fatto che utilizzasse il simbolo del copyright sotto la scritta Samo© da un lato dichiarava il fatto che in quel momento lo stesse scrivendo lui, ma dall’altro dichiarava il copyright della merda e che tutto ciò che veniva dichiarato attraverso quella dicitura aveva a che fare con il disgusto nei confronti di tante cose.

Non era spiccatamente politico ma era certamente critico.

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Tag SAMO a Modena. Foto di Alessio Bogani

 

Tornando alla Street Art, qual è la tua posizione riguardo lo strappo dei murales dal loro luogo naturale, la strada, per essere “protetti” all’interno dei musei con ingresso a pagamento? Pensi che si tratti di conservazione o lucro?

Pochi giorni fa ho partecipato ad un convegno online sul concetto di spazio pubblico e decorazione a Genova, una città con una grandissima tradizione di decorazione pittorica sulle facciate. Mi hanno raccontato che intorno agli anni ‘90 si usava spesso fare dei ritocchi (che erano in realtà degli interventi che simulavano i restauri), perché in quel momento piaceva l’idea di dare un senso di antico, anche se i ritocchi erano fatti il giorno stesso.

Questo per dirti che l’Italia vive da sempre di queste contraddizioni, anche perché ha una grandissima sedimentazione storica. In più si sente sempre questo bisogno di salvare assolutamente tutto quello che può essere perduto.

Di solito, però, queste operazioni di “conservazione” vengono fatte solo su alcuni artisti. Perché? Perché sono gli unici che rifuggono il sistema dell’arte (nonostante ci siano perfettamente dentro) e cercano di continuare ad avere un controllo sul proprio lavoro, negando quindi il sistema in quanto mercificazione.

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Blu, figura che calcia una testa. L’opera staccata dal muro. 480×643 cm

Questo fa capire che la necessità della salvaguardia non avviene incondizionatamente per tutto il mondo dell’arte urbana, ma avviene solo per coloro che, caso vuole, sono stati nominati sia dalle aste che dai maggiori giornali internazionali come gli artisti top della street art.

Non si tratta né di salvaguardia né di preservare le opere basandosi sul presupposto che la proprietà materiale trascenda la proprietà morale e autoriale dell’opera.

Francesca Benatti, una docente di Storia del Diritto, mi ha confermato che la proprietà autoriale dell’artista e la sua voce morale all’interno del prodotto artistico è fondamentale e indiscutibile. La questione cambia se invece è l’artista stesso a dichiarare di essere felice che le sue opere vengano staccate, ricontestualizzate e riportate su qualsiasi altra superficie.