In questa nuova tappa di Book Trip incontriamo Katia El Mogi che, oltre a essere un’appassionata libraia a Modena, è l’anima di un curioso esempio di social reading: The Sleepy Hamlet (Facebook: @thesleepyhamlet / Instagram: @the_sleepy_hamlet_books).

Nato a fine 2017 come blog letterario che voleva trattare di libri, librerie e lettori, The Sleepy Hamlet (il borgo dormiente), prende spunto da Wigtown, una località scozzese in cui in quello stesso anno Katia ha fatto la sua prima esperienza come libraia. Allora, periodicamente veniva pubblicato il diario di quelle giornate scozzesi e una rubrica con le foto delle librerie di casa dei lettori e dei loro tre libri preferiti. Di lì a poco il blog si è declinato in pagina Facebook prima e Instagram poi.

Nel 2018, trasferitasi nelle Highlands per una seconda e più lunga esperienza in libreria, il legame con la Scozia si è rafforzato e i protagonisti del blog diventano gli abitanti della piccola e meravigliosa Ullapool: dal barista al conducente di autobus, loro e le loro letture. Ogni settimana vengono raccontati gli episodi della libreria e delle librerie sparse per le Highlands.

Tornata in Italia per frequentare la Scuola Librai a Roma e per dare forma al progetto di una piccola libreria italo-inglese a Modena, The Sleepy Hamlet continua con i suoi personali consigli di lettura, a celebrare autori amati e soprattutto a proporre approcci letterari alla lingua inglese.

Durante il lockdown è iniziata 1-MINUTE ENGLISH, brevi riprese sulla traduzione di titoli dall’inglese all’italiano e viceversa. L’intento di avvicinare i lettori all’apprendimento dell’inglese e alla cultura britannica attraverso la lettura in lingua rappresenta il ponte tra due grandi passioni: la letteratura e le lingue straniere.

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Leggere è un’attività emozionale che ha a che fare con la solitudine, con il dedicare tempo a se stessi. Eppure il social reading, ovvero condividere esperienze di letture, sta trovando una sua dimensione, con un seguito crescente ed è interessante anche perché trasversale.

Credo che leggere continui a rimanere uno spazio tutto per sé, a essere cambiati sono il modo di proporre cosa leggere e chi lo propone, non la lettura.

Il libro oggi viene presentato, e anche fotografato, in maniera accattivante e non solo da librai, giornalisti o editori ma anche da forti lettori che si scambiano consigli tra loro. Il fenomeno che ha preso piede sui social mi verrebbe da chiamarlo “reading suggestions” più che “social reading” ma la definizione è probabilmente meno modaiola.

Poi va considerato che si è sviluppata tutto un pubblico di non-lettori che guardano all’aspetto grafico del libro e creano setting fotografici in armonia con la copertina, è un aspetto per cui Instagram si presta tantissimo.

Sicuramente, anche questo lato dei social ha permesso una maggior diffusione e trasversalità del libro, ma della lettura non ne sono sicura.

 

Dai gruppi di lettura alle stories su Instagram, è possibile considerare il social reading come un’evoluzione, oppure “lo sguardo” di chi parla di libri sul web va altrove e allo stesso tempo la condivisione fisica resta insostituibile?

Negli ultimi anni ho notato un forte incremento dei gruppi di lettura e in questo periodo, in cui per forza sono diventati virtuali, i social si sono rivelati di grande aiuto permettendo di tenere vivi questi gruppi. Chi però ne fa parte capisce che è una soluzione temporanea e non vede l’ora di tornare ad avere una partecipazione fisica appena sarà possibile. Lo dico sulla base dell’esperienza che vivo in libreria: chi ha partecipato al nostro gruppo di lettura continua a chiedere quando si potrà ricominciare.

Pertanto il social reading non mi sembra un’evoluzione dei gruppi di lettura, ma lo vedo come un fenomeno complementare che, probabilmente in forma minore, si sarebbe sviluppato comunque in questi anni.

Lo sguardo di chi parla di libri sul web può andare in mille direzioni, anche quella autocelebrativa dove chi propone diventa più importante di cosa propone, ma la condivisione fisica resta insostituibile. Anzi, di più: spesso il lettore che vede un libro sui social e viene a chiederlo in libreria, vuole comunque sapere anche l’opinione di noi libraie, quasi a cercare qualcosa di più attraverso un riscontro umano.

 

Vivi la libreria per lavoro e la passione per i libri e la lettura ti hanno spinta a dedicare del tempo a parlarne in un’altra forma. Ma che genere di lettrice sei?

Senza passione io non potrei fare nessun lavoro.

Ho iniziato a parlare di libri prima ancora di cominciare a lavorare in una libreria. Sono partita da quella passione per cercare di capire quale progetto volevo costruire attorno a me e a quella costante. Parlando di libri sul web, frequentando i festival letterari e parlando con i librai, il progetto di una libreria ha pian piano preso forma e da lì, a piccoli passi ho fatto delle scelte e intrapreso una strada.

Parlare di libri attraverso The Sleepy Hamlet rimane il mio spazio di condivisione personale, una stanza tutta per me in cui liberare i pensieri, che si affianca al lavoro in libreria ma ha a che fare con il mio tempo libero.

Io leggo principalmente letteratura e nella scelta mi lascio guidare dal gusto personale, a volte capita (come a tanti) anche solo dal titolo o dalla copertina.

 

Cos’è The Sleepy Hamlet e cosa ti ha spinto a crearlo? Soprattutto cosa c’è di diverso nel tuo modo di proporre libri rispetto a quello tradizionale che hai in libreria?

The Sleepy Hamlet su Instagram è un rifugio letterario formato da tre cose: un amore incondizionato per la Scozia, i suoi paesaggi, le sue librerie; recensioni che vogliono essere consigli di lettura; progetti come 1-MINUTE ENGLISH per la diffusione dell’inglese e SEND ME A LETTER che si propone di ritrovare lettere di artisti, riscriverle a mano su carta da lettere vintage e spedirle.

Un collage artistico, insomma, con un suo filo conduttore e con al centro sempre la letteratura, come se fosse un albero da cui si dipanano tanti rami.

 

 

The Sleepy Hamlet colpisce anche per un’alternanza linguistica tra italiano e inglese, è un aspetto che caratterizza e soprattutto, in certi casi, crea una fascinazione naturale. Penso al parlare di Cesare Pavese in inglese: oltre a essere una bella suggestione, riporta proprio a lui, così radicato tra le sue colline piemontesi eppure altrettanto legato alla lingua inglese. Cosa cerchi in questa proposta?

Diciamo che l’alternanza linguistica è una conseguenza naturale delle esperienze che ho vissuto e vivo, nel senso che la lingua le accompagna: dai luoghi che ho visto ai libri che ho letto.

Quando ero in Scozia scrivevo sempre in inglese sui social. Quando leggo un libro in lingua lo recensisco in inglese, che è poi la lingua che utilizzo maggiormente su Instagram. Amo scrivere anche in italiano, lingua che invece uso di più per Facebook.

Prima di scrivere cerco di capire in che lingua è nato il mio pensiero e a chi voglio rivolgere il messaggio.

Cesare Pavese ha uno spazio prediletto nel mio cuore, sia come scrittore che come profondo conoscitore della lingua inglese. Lui è un esempio del fatto che se hai radici forti (anche in campo linguistico), puoi sentirti libero di esplorare davvero, tentare connessioni tra le lingue, innestare, arrivare a interpretazioni di significato. Pavese aveva capito che il linguaggio, come la letteratura, è una ricerca continua e non finirà mai di stupirti, così come di creare ponti.

Un fine ultimo sarebbe quello di avvicinare sempre più persone alla lettura in lingua, che è insieme un progetto e un processo lentissimo ma che regala emozioni intense che restano. Leggere un libro nella sua lingua originale ti apre porte della mente inimmaginabili. La sensazione è quella di calarsi ancora di più in quella cultura.

 

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Quando si parla di libri in Italia, si deve fare sempre i conti con un paese in cui si legge pochissimo. Tu a chi ti rivolgi? Si tratta più di condivisione tra lettori o promozione della lettura?

Ci sono i dati statistici nazionali e quelli non mentono. Poi ci sono le realtà più piccole e quotidiane e ognuno vive la sua. La mia è quella di una libreria di Modena in cui tutti i giorni incontro adulti che cercano libri di letteratura, di spiritualità, di attualità; incontro insegnanti che si prodigano per le letture dei propri studenti dall’asilo alle superiori; incontro bambini che vengono accompagnati da genitori o nonni. Penso ai consigli che ci chiedono e a come sono andati questi mesi e il dato nazionale della lettura lo sento lontano. Mi rendo anche conto che però mi trovo in una regione che, così come per altri fattori, gioca un ruolo positivo fondamentale.

Quando parlo di libri attraverso The Sleepy Hamlet mi rivolgo a lettori a cui magari vien voglia di andare a comprare quel libro in libreria o a prenderlo in biblioteca, così come ad amici e conoscenti che spesso mi scrivono perché una recensione gli è piaciuta e li ha spinti a leggere il libro. Penso anche alle persone che magari han già letto quel libro e vogliono parlarne.

Provo sempre a legare qualcosa di personale all’esperienza di lettura, penso che sia lì che diventa vera condivisione.

 

Cos’è per te un “buon libro”?

Non me lo sono mai chiesta. Ho sempre parlato di un “bel libro”, che fortunatamente è una definizione soggettiva.

Un libro che, attraverso una narrazione fluida tocca corde interiori diversamente difficili da raggiungere, per me è un bel libro. Un libro che ti mette davanti a delle verità e ha delle righe che non finiresti mai di sottolineare, per me è un bel libro. Questo mi capita spesso con i classici, che a volte faccio più fatica a leggere ma che mi regalano prese di coscienza fortissime. Quando ci sono queste cose, quel libro devo averlo a casa, con me, sapere che è lì.

La parte del “buono o cattivo” preferisco lasciarla ad altri.

 

I blog letterari prima e il social reading adesso, possono essere anche una piccola bussola per i lettori. Quello del web è un linguaggio immediato, moderno, in continua evoluzione e accessibile a chiunque anche in modo indiretto, tutto questo non per forza è da considerare positivo, ma può rappresentare una risorsa per la riscoperta dei classici o la scoperta di editori indipendenti?

È vero, il linguaggio dei social è diverso, ma è sempre fondamentale considerare chi sta scrivendo. Mi spiego meglio: la libreria che suggerisce un libro attraverso una recensione, non può farla in “due righe”. O almeno, io e le mie colleghe, confrontandoci, ci siamo accorte che non è così importante la lunghezza del testo ma lo è assolutamente il suo contenuto, che “si faccia leggere” e che sia scorrevole, ma può anche essere un post non breve. Questo aspetto lo riscontriamo sia nei commenti che dalle interazioni che i nostri post ricevono, prima la pensavo diversamente ma rendendomene conto lavorando in libreria ho cambiato idea.

Quando invece scrivo come The Sleepy Hamlet tendo sempre a privilegiare la brevità e l’immediatezza, anche se non sempre ci riesco. Questo perché capisco che è una pagina seguita non solo da lettori ma anche da persone che la scorrono nel tempo libero e che tra migliaia di stimoli non si soffermano su un post. E penso che se si vuol promuovere la lettura o avvicinare ai libri anche le persone che lettori non sono, bisogna farlo in maniera efficace adeguandosi allo strumento che si utilizza.

Penso che i social, più che per la riscoperta dei classici, per alcuni dei quali in libreria noto sempre un trend positivo costante, in questi tempi possano essere un mezzo utile agli editori ma anche ai librai indipendenti: farsi conoscere, fidelizzare lettori e clienti, interagire con loro. Da questo punto di vista trovo che il web possa rivelarsi molto utile.