Siamo a Gombola per il secondo weekend del Festival Trasparenze e in un certo senso sembra di tornare a casa: l’atmosfera creata dalle compagnie e dai cosiddetti “spettatori-residenti” è calda ed accogliente. Ci si saluta e si chiacchiera come una grande famiglia riunita dopo una lunga assenza, ci si interessa gli uni degli altri, scambiandoci stati d’animo e resoconti della settimana appena trascorsa. Ciò che colpisce l’attenzione maggiormente rispetto al primo fine settimana è l’età degli “spettatori-residenti”: ci sono molti ragazzi, un bel risultato per il Teatro che, notoriamente, fa fatica ad attirare i più giovani. Ma ci sono anche tanti “veterani”: infischiandosene della ripida salita che conduce al centro del borgo, arriva anche una signora di novantanove anni.

Fotografia di Elisa Magnoni

Credo che tutte le persone presenti oggi qui a Gombola siano la riprova che, davvero, il teatro e l’arte siano strumenti preziosi che creano connessioni e che devono essere, oggi più che mai, protetti e tutelati.

Pentesilea

Di fronte alla Chiesa del borgo si svolge Pentesilea con la regia e drammaturgia di Stefano Tè. In scena due attori, Antonio Santangelo e Francesca Figini, su trampoli che si muovono al ritmo della batteria di Igino L. Caselgrandi.

Due figure, a metà tra l’umano e l’animale, si muovono e si amano con la guerra di Troia a fungere da palco. Una storia d’amore dentro una storia di guerra, quindi, in cui i protagonisti combattono con scudi e sentimenti: Achille, simbolo della virilità, e Pentesilea, regina delle Amazzoni, metà furia e metà grazia, amante della pace ma portatrice di azioni belliche. Tra i due nasce una danza macabra di movimento in bilico tra la vita e la morte, tra il restare in piedi e il cadere, tra le passioni estreme dell’amore e dell’odio.

Kotekino Riff

“Questo è uno spettacolo brutto”. Con questa frase, si apre Kotekino Riff di Andrea Cosentino, in scena domenica 9 agosto. L’attore indossa una maschera da pulcinella per tutelare il suo “anonimato” e mettere le mani avanti, rassicurando il pubblico sulla sua morte: prima o poi, ovvio. Può essere che Cosentino muoia subito dopo lo spettacolo. Oppure tra una settimana. O forse tra anni. Ma è certo: lui morirà. Questa apertura provoca risate sincere da parte degli spettatori. A queste, saranno tantissime altre a seguire. Nessun testo, nessuna trama da seguire. Poche, immediate e secche parole compongono duetti e dialoghi tra pupazzi e oggetti, creando numerosi “quadri” di nonsense, caricature e sketch irriverenti che demoliscono impalcature intellettuali e deridono la reciprocità didascalica del teatro.


Cosentino destruttura la matrice rituale della scena, il teatro a cui siamo abituati e che ci tutela e consola: scompone l’atto teatrale in frammenti incongruenti, sovrapponendoli a ritmo sincopato, interrotto. Il risultato è la ridicolizzazione del rapporto tra sacro e profano e una critica della relazione tra messinscena e spettatore, invitando lo spettatore ad un tipo di fruizione anticonformista. Cosentino si muove sulla scena quasi in modo complementare, rovesciando di continuo ruoli e confini: mescola l’equilibrio del dentro e del fuori, alto e basso. Certamente, questo tipo di lavoro non conosce una scala di grigi: o lo si ama o lo si odia.

“Il teatro deve porre domande e non offrire risposte”, dice Cosentino. Ed eccole, le domande: arrivano in un finale che muta inaspettatamente registro. La scena si fa buia e la voce metallica di un inquietante accattone sputa addosso parole: “L’arte è accattonaggio? L’accattonaggio è una forma d’arte? L’arte è morta? L’arte è viva e noi siamo morti?”

Kotekino Riff. Gombola, Trasparenze Festival 2020. Fotografia di Elisa Magnoni
Kotekino Riff. Gombola, Trasparenze Festival 2020. Fotografia di Elisa Magnoni

Zambra Mora

A chiudere il festival è la musica degli Zambra Mora, che si muove tra le musiche balcaniche e quelle del Mediterraneo: si balla, si sorride, ci si sente felici. Una festa, insomma. La conclusione perfetta.