“Ti sentirai solo, mi hanno detto. Io li guardo e mi chiedo come facciano loro a vivere così”. Tommaso Turci, modenese classe ’88, ha fatto una scelta di vita che ha poco a che fare con i quasi trentenni di oggi: “Mi considero un pioniere, che ha avuto l’intuizione di collocarsi dove voleva essere quando lo voleva”. La sua scelta è la terra, più nel dettaglio l’Abruzzo. “Da casa mia al Comune più vicino, Atri, sono venti chilometri”. Lì, in mezzo alle campagne abruzzesi, sorge l’Azienda Agricola Cirelli di cui Tommaso ha le chiavi.

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Qui si fa il vino, lui gestisce la pianificazione e l’effettuazione dei lavori, si definisce “enologo, viticoltore e giovane vignaiolo”. Come ci è arrivato? Tutto è cominciato con Scienze Gastronomiche a Parma. Poi, passando per Enologia a Pisa, Tommaso è arrivato a un seminario sull’agricoltura biodinamica che lo ha portato a un mese in tenda per seguire la vendemmia in un’azienda di San Miniato. Qui ha conosciuto Cipriano Barsanti, “l’uomo che mi ha insegnato la cultura del vino”, e con lui ha portato avanti il progetto ‘Azienda agricola Camigliano’, fino al 2015. E’ a ottobre dell’anno scorso che Tommaso incontra Francesco Cirelli, dell’omonima azienda agricola, e in gennaio comincia a lavorare per lui. Quello che ha imparato fino a qui? Che “la viticoltura è un mondo infinito di cui tu puoi esplorare solo la superficie nell’arco di una vita. Fare viticoltura significa vivere un territorio: un enologo deve essere anche etnologo, antropologo, geologo, storico. Non si può interpretare un territorio se non lo si vive. In Abruzzo parlo con il contadino novantenne, con il pecoraro, mi immergo nei bar di paese”.

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Tutto questo con l’obiettivo di produrre un vino che sia il più possibile naturale, un prodotto artigianale che rispecchi quella specifica annata e il suo territorio. Oggi la coltivazione è biologica, “ma stiamo lavorando per intraprendere la strada della biodinamica, per approcciarci in maniera sempre più naturale alla campagna. Perché la chiave del prodotto è sempre la cura del suolo, di cui bisogna preservare la struttura e la vita. Più è complesso l’ecosistema, più si autoregola e si autoprotegge. Noi cerchiamo di tendere a questo modello sostenibile perché è l’unico modello che funziona per l’agricoltura e che sia tramandabile, che garantisca il futuro della terra”.

 

Finita qui? No. L’azienda agricola ha fatto partire un progetto parallelo, ‘La Collina Biologica’, che funziona come una sorta di Fondazione della terra. “Abbiamo a disposizione 23 ettari di terra, di cui cinque di vigne, uno di ulivi e quattro di fichi. Se tu vieni da noi con un progetto che funziona, noi ti forniamo gli strumenti, la consulenza e l’assistenza per realizzarlo. Poi del prodotto finito farai quello che vuoi”. E il ritorno? “Vedere la nostra potenzialità sfruttata, è un investimento in cultura dando la possibilità ai giovani di vivere della terra”.

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