L’1 e il 2 febbraio la compagnia Frosini / Timpano è andata in scena al Teatro delle Passioni con “Gli sposi – Romanian Tragedy”. Un testo di David Lescot, traduzione di Attilio Scarpellini.

Fotografia di Franco Rabino

Un uomo e una donna. Delle persone molto ordinarie, nella Romania del XX secolo. Entrambi vengono dalla campagna. Un po’ nello stesso modo l’uno e l’altra si ritrovano a militare nel Partito Comunista. Niente sembra distinguerli dai loro compagni. Tranne il fatto che sono un po’ meno dotati della media.
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Con queste parole, lo scrittore David Lescot ci descrive i suoi personaggi storici, Nicolae Ceausescu ed Elena Petrescu. “Delle persone molto ordinarie”. Sembra una descrizione assurda se riferita a due dittatori che hanno tenuto il potere per venticinque anni e mandato in rovina una nazione. Però quello di stasera è un lavoro che riesce davvero a mostrarti il lato “umano” di questi due personaggi e apre molti interrogativi sulla Storia e sulle storie.

Fotografia di Franco Rabino

La scena è spoglia: ci sono solo due sedie e due microfoni. Tutto è affidato alla voce e al corpo dei due attori, Daniele Timpano ed Elvira Frosini. Un cambio di luce è sufficiente per far prendere vita ad un comizio politico del Conducator oppure farti ritrovare all’interno del palazzo ove i due coniugi vivono. In settantacinque minuti viene ripercorsa la vita dei due politici, ci viene raccontata da Nicolae ed Elena stessi. Siamo in Romania, negli anni immediatamente successivi alla Grande Guerra, il Movimento Legionario della Guardia di Ferro, di estrema desta, ha preso il potere. Ad esso si contrapponeva il Partito Comunista, considerato illegale. I due coniugi ci raccontano le loro umili origini, con orgoglio affermano che entrambi vengono dalla campagna. Ci raccontano il loro ritrovarsi quasi per caso a militare nel Partito Comunista: loro stessi infatti affermano che avrebbero potuto scegliere la strada dei “neri”, ma che per opportunità si sono ritrovati tra i “rossi”. Il racconto prosegue e si descrivono a vicenda: di lei, Nicolae dice che “non è né brutta né bella. Ma a me piace sul serio”. Elena invece elenca spietatamente tutti i difetti di lui: la balbuzie, la brutalità, l’opportunismo.

Fotografia di Franco Rabino

Veniamo condotti fino al punto in cui il destino gioca finalmente a loro favore: Nicolae Ceausescu viene internato nel campo di concentramento di Târgu Jiu assieme al segretario del Partito Comunista romeno Gheorghe Gheorghiu-Dej che lo prenderà sotto la sua ala protettiva, nominandolo poi come suo successore designato. Qui la padronanza scenica di Daniele Timpano sottolinea magistralmente la mutazione di Nicolae che abbandona il suo terrore da balbuziente di parlare in pubblico grazie a gesti del braccio e della mano, quasi fosse una marionetta. Sì perché, in fin dei conti, Nicolae di questo spettacolo è davvero una marionetta: la moglie, Elena Petrescu, è il “Mangiafuoco” della situazione, è lei a tirare costantemente i fili e scegliere le direzioni, è grazie alle sue spinte se lui riesce a diventare il Conducator. Con un semplice gesto o sguardo, Petrescu-Mangiafuoco riesce a far scattare il marito e conquistare il centro della scena.

Fotografia di Franco Rabino

Elvira Frosini, straordinaria ed efficace per tutta la durata dello spettacolo, mostra ogni aspetto celato di Elena Petrescu: riesce a ricostruire le sfumature nascoste del suo carattere, il suo desiderio di riscatto dalle sue umili origini. Per necessità, infatti, Elena Petrescu aveva dovuto abbandonare gli studi elementari. Una cosa che lei non aveva mai digerito. Per tale motivo, nonostante fosse quasi analfabeta, si fa nominare “Accademica di Romania per le Scienze”, pubblicando a proprio nome scoperte scientifiche sottratte ad esperti del settore, oltre che collezionare numerose lauree honoris causa in chimica dei polimeri.

Fotografia di Franco Rabino

L’inevitabile epilogo ci ritrova a questo punto un po’ affezionati ai due crudeli, goffi sempliciotti. Molto tenera la scena dell’interrogatorio: reciprocamente, con gesti e toccandosi, cercano di tranquillizzarsi a vicenda mentre, a domanda posta, negano disperatamente ogni responsabilità nella strage di Timişoara, dove l’esercito ha aperto il fuoco su dimostranti e cittadini, in seguito ad un loro ordine.

Fotografia di Franco Rabino

Al termine di questo spettacolo, mi ritrovo disorientata. Ero entrata in sala chiedendomi perché portare in scena una storia così lontana da noi. Cosa ci accomuna con la Romania di quegli anni?
Il giorno dopo lo spettacolo, ho avuto il piacere di incontrare Daniele ed Elvira. È stata una piacevole chiacchierata sulla Storia e sull’umanità del male. Sì, umanità. Perché quello che ti ritrovi a provare al termine dello spettacolo è compassione per i due dittatori. E ti senti a disagio. Non sei preparato a questo. Devi odiare il cattivo.

“Dopo la loro fucilazione, venivano descritti come il male assoluto mentre solo pochi giorni prima erano altre le parole che venivano utilizzate per descriverli”, mi racconta Elvira.

Ed è questo il grande interrogativo che riesce a lasciarti questo bellissimo spettacolo.
La Storia (quella dei libri, quella ufficiale) è oggettiva?
Ovviamente i coniugi Ceausescu sono colpevoli e non possono essere discolpati, non è nell’intento dello spettacolo fare questo. Ma con ironica prepotenza viene mostrato il lato per così dire umano del male, sopratutto nella scena finale, che toglie il fiato: dopo essere stati fucilati, gli attori si rialzano e raccontano che il cane dei dittatori venne “liberato”. Lui ha iniziato a correre, a correre disperato, fermandosi di colpo in un punto e cominciando a scavare senza sosta. In quel punto si dice che ci fossero i corpi della coppia.

Fotografia di Franco Rabino