Pier Paolo Pasolini nel Manifesto per un nuovo teatro, pubblicato sulla rivista “Nuovi Argomenti” nel 1968, si rivolgeva ai lettori con queste parole:

Non c’è nessuno di voi che davanti a un testo o a uno spettacolo resista alla tentazione di dire questo è teatro oppure questo non è teatro il che significa che voi avete già in testa, ben radicata, un’idea del TEATRO.

In questo lungo anno di sospensione forzata, il teatro (e l’idea stessa che abbiamo di lui) è stato duramente messo alla prova: si è ritrovato smarrito in questa immobilità surreale ma ha cercato di individuare altri modi e altri “luoghi” ove sopravvivere, soprattutto ha imposto due domande: “cos’è il teatro?” e “che ruolo ha nella società?”.

 

Cos’è il teatro?

È un luogo fisico? Una forma di letteratura? Un evento? Un’istituzione?

Sulla Treccani, la parola “teatro” la ritroviamo nella categoria “architettura e urbanistica”. Teatro, sostantivo maschile, dal greco ϑέατρον, derivazione del tema di ϑεάομαι “guardare, essere spettatore”. La parola greca indicava, oltre che l’edificio per le rappresentazioni drammatiche, anche quello per assemblee e per pronunciare orazioni.

Ma quali sono esattamente gli elementi oggettivi che identificano questo luogo fisico come “teatro”?

Leggendo un saggio del prof. Luigi Allegri, Prima lezione di teatro, ci si imbatte in un gioco molto interessante che lo storico fa con il lettore, un gioco che parte analizzando quelle che sono le componenti di uno spazio teatrale. Il teatro possiede: un palco, quinte, un fondale, un proscenio, una platea, attori e pubblico.

Senza di essi, possiamo ancora parlare di teatro? Eliminiamo il proscenio: tutti saremo d’accordo nel vedere questo luogo ancora come teatro, anche senza proscenio. Proseguendo nel nostro processo di destrutturazione, togliamo anche le quinte e il fondale: senza questi elementi, possiamo ancora parlare di teatro. Resta ancora il palcoscenico: senza di esso, siamo ancora davanti al teatro? Direi proprio di sì.

A questo punto, restano solo gli attori e il pubblico: l’ossatura di quello che è il teatro. Perché con un corpo che agisce (e trasmette un messaggio) e un altro che guarda (e recepisce il messaggio) possiamo ancora parlare di teatro, qualunque sia lo spazio e il tempo ove questo si snoda.

 

Che ruolo ha il teatro nella società?

Per rispondere alla seconda domanda possiamo andare indietro nel tempo nella società della Grecia antica. È proprio qui che il teatro nasce, all’interno delle feste rituali: vi erano da una parte danzatori e, successivamente, l’aedo (ossia, il cantatore professionista che componeva da sé i versi) e il rapsodo (cantatore professionista che canta versi altrui); dall’altra una folla che assiste.

L’attore, conosciuto con il nome hypoktrités, “colui che risponde” o “colui che interpreta sogni/prodigi”, all’interno della società greca era una persona che possedeva connotazioni elevate ed era rispettata. Il teatro aveva una precisa funzione catartica all’interno della società ed era ritenuto indispensabile per il benessere dei cittadini.

Osservando la cultura e il teatro di oggi, vengono in mente le parole di Claudio Longhi (qui l’intervista pubblicata all’interno dei nostri Focus on 2020), in risposta alla domanda sul silenzio delle istituzioni di fronte al mondo lavorativo della cultura:

[…] ancora una volta ci troviamo davanti ad una situazione che è tipica del nostro paese, quella non di percepire la cultura come un lavoro. Questa è una caratteristica del nostro impianto culturale, da sempre.

 

23 febbraio 2020 – oggi

Nella serata del 23 febbraio 2020 viene pubblicata l’ordinanza regionale per contrastare l’avanzamento dell’infezione da Covid-19 e il giorno dopo tutti i teatri nazionali sono stati costretti ad annullare gli eventi in cartellone. La sensazione di chi ha vissuto quei momenti è stata di smarrimento ma vi era anche una sorta di speranza che la situazione fosse provvisoria o quantomeno vi era l’idea che le Istituzioni ricercassero una soluzione affinché le attività teatrali potessero riprendere quanto prima.

A oltre un anno da quei giorni purtroppo sappiamo ciò che è accaduto e soprattutto, oggi, non si sa cosa e come potrà essere il teatro post Covid-19.

Quello che è certo è che le varie realtà hanno cercato di reinventarsi e di scoprire cosa potevano ancora essere per la società e per il loro pubblico, consci del fatto che proprio il rapporto con il pubblico è per il teatro stesso vitale. Alla luce di questa consapevolezza, in questi mesi hanno preso vita varie proposte alternative.

 

Davide Filippi in Favole al citofono. Foto di Chiara Ferrin.

 

In direzione delle persone

Sono due le compagnie di Modena che si sono dirette verso le abitazioni del pubblico: il Teatro dei Venti con le loro “Favole al citofono” (ne abbiamo parlato qui)  e Peso Specifico Teatro con il pacchetto “Teatro Express” (ne abbiamo parlato qui).

Entrambi questi progetti erano stati inizialmente pensati come “regalo” di Natale ma poi hanno proseguito nei mesi successivi (e ancora proseguono): nel primo caso, veniva commissionata una favola (tra quelle proposte dalla Compagnia) e fatta poi recapitare al bambino di una famiglia che la ascoltava al citofono; nel secondo invece quello che arrivava sul pianerottolo di casa (rispettando il distanziamento) era un vero e proprio spettacolo, scelto tra quelli proposti a menù. Entrambi i format ovviamente non potevano essere pensati con una durata standard di uno spettacolo ma con una durata di massimo quindici minuti.

Queste due proposte sono state pensate andando nella direzione delle persone: è un teatro che prende con sé i propri attrezzi del mestiere (costume, valigia, candela) e va diretto nelle case dei cittadini. Quello che nasce in una relazione come questa è quanto mai prezioso in un momento dove il contatto sociale è ridotto al minimo e, di fatto, tutti ci sentiamo soli.

Il teatro che viene in casa ha contribuito di fatto a non lasciare solo il pubblico e, al tempo stesso, è servito al teatro a nutrirsi e mantenersi in vita grazie al calore delle persone.

 

Foto di Elisa Magnoni

 

La Compagnia Frosini Timpano di Roma

Di diverso stampo, ma non meno importante, è stato il lavoro fatto la Compagnia Frosini Timpano di Roma (che abbiamo visto al Teatro delle Passioni di Modena nel febbraio 2020 con Gli sposi. Ne abbiamo parlato qui) con il progetto #Indifferita: ogni settimana, veniva scelto uno spettacolo teatrale e veniva messo in chiaro il video su YouTube dello spettacolo integrale.

A proposito del progetto, la compagnia stessa sulla propria pagina Facebook dichiarava:

Nessuno ci ha chiesto di fare questa cosa. Non dovremmo neanche essere noi a farla, come preciseremo tra qualche riga. Tuttavia, orfani improvvisamente del nostro mestiere, non si sa con che orizzonte davanti di ripresa (si è passati da ipotesi di recupero di date in estate a ipotesi autunnali a ipotizzare negli ultimi giorni una riapertura non prima della primavera 2021 e c’è già chi scrive cose apocalittiche dicendo che niente più sarà come prima e che il teatro ormai sarà solo a distanza ed è il momento del salto di specie per lo spettacolo dal vivo), come compagnia e come cittadini abbiamo pensato che fosse importante fare un atto di testimonianza dell’esistenza del teatro, della sua essenza fisica, corporale, compresenza di attori e spettatori, della sua forza potenziale di elaborazione di pensiero etc, tutte cose in cui crediamo molto.

Una voce quindi del teatro che vuole ricordare che c’è ed esiste; una testimonianza, come dice la compagnia stessa, di quanto è stato fatto finora per non essere dimenticato e, al tempo stesso, una voce di dolore e rimprovero verso le istituzioni che, sordamente, non hanno ancora fatto nulla per preservare il valore (umano, artistico e sociale) del teatro in quanto tale.

#Indifferita non voleva sostituirsi al teatro, ma essere testimonianza struggente “degli spettacoli cadaveri (perché lo spettacolo dal vivo è vivo solo dal vivo). […] cose che ricordino, per contrasto, il live perduto, nella sua perduta unicità e nelle sue qualità specifiche”.

Gli spettacoli proposti non sono “per forza nuovi, non video per forza impeccabili. Solo compagnie italiane con spettacoli dal 2000 a oggi, spettacoli a volte ormai fuori repertorio che hanno influenzato altri spettacoli e sono magari poi caduti nel dimenticatoio di questa storia del teatro che ha spesso la memoria corta ed è stata troppo spesso appiattita sul nuovo, sul presente, sull’iperproduzione di sempre nuove novità, in un sistema teatrale che ha scoraggiato apertamente il mantenimento di un repertorio.

 

Il progetto MAB.059

Tra febbraio e marzo, la compagnia STED di Modena ha cercato una dimensione onirica, invadendo una stazione radio con il progetto MAB.059.

Gli spettacoli, della durata tutti di un’ora e un minuto, attraverso una di rilettura radiofonica di Shakespeare, cercavano di mantenere in vita l’aspetto visivo del teatro e il tipo di  relazione che esso aveva con il pubblico: quello che andava in onda era davvero uno spettacolo teatrale a tutti gli effetti. Con gli strumenti tecnici di una radio, certo, ma era uno spettacolo teatrale con la sua durata media.

Anche la relazione con il pubblico aveva lo stesso sapore del teatro pre-Covid: il pubblico era posto dall’altra parte dello schermo (uno schermo che diventava di fatto la “quarta parete”) ed era lui stesso a dirigersi verso lo spettacolo, anche se in questo caso significava solo sedersi davanti ad un computer e collegarsi al canale YouTube.

Una relazione intima

Una relazione più intima, invece, è quella che ha ricercato Drama Teatro con il suo pubblico: con il progetto La vostra Voce, la compagnia ha raccolto racconti ispirati a Boscomartello scritti dal pubblico. Per rispondere al quesito su cosa sia Boscomartello, Drama Teatro scrive:

in via Malmusi 172 c’è un cancello un po’ arrugginito che si apre su un ampio spazio verde con faggi, pini, fichi e ippocastani. In fondo, si nasconde una piccola cuccia di un cane. L’erba cresce rigogliosa e la fauna urbana vi trova riparo. È il Boscomartello.

Attraverso la call, Drama Teatro ha raccolto i racconti di ventitré persone e di una classe della scuola primaria Ferrari di Formigine: da questi racconti, raccolti in un’unica pubblicazione digitale che si può scaricare a questo link, ne verranno scelti sei che successivamente prenderanno vita grazie ad attori professionisti proprio all’interno di Boscomartello.

La performance verrà registrata, ma la speranza della Compagnia è che l’evento possa essere trasformato in dal vivo. Normative permettendo.

Che ruolo ha il teatro all’interno della società?

In questi mesi, quello che quindi ha fatto il teatro (a Modena ma anche in tutto il territorio nazionale) è stato un tentare di salvare, con ostinazione e oltre la disperazione, il legame che possiede con le persone: ogni compagnia ha trovato e studiato una sua strada ed ognuna di queste ha portato alla luce un aspetto nuovo e importante del Teatro nei confronti della società.

Come rispondere, in conclusione, alla seconda domanda di questo articolo, ossia che ruolo ha il teatro all’interno della società?

Vivificare, far sognare, scaldare, porre domande, far ridere, commuovere, raccontare, testimoniare, accompagnare.

Può sembrare solo un elenco ridotto di quello che rappresenta il teatro, ma questi sono tutti verbi essenziali all’interno di una società che si definisce (e che vuole continuare a definirsi) “civile”.